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Il raccordo fra passato e futuro ne “I Maestri cantori” di Wagner 
di Gabriella Rovagnati
26 Giugno 2012
 

A lungo si trascinò la gestazione dell’opera I Maestri cantori di Norimberga di Richard Wagner. Dopo un primo abbozzo, risalente al 1845 (lo stesso anno del primo schizzo del Lohengrin), e un riassunto in prosa della vicenda del 1851, il musicista riprese a lavorarvi dieci anni dopo, nel 1861, ma libretto e partitura giunsero a compimento solo nel 1867. L’opera fu rappresentata per la prima volta il 21 giugno dell’anno seguente al Königliches Hof- und Nationaltheater di Monaco e riscosse grande successo.

Suddiviso in tre atti, il lungo (oltre 5 ore a teatro) dramma musicale (WWW 96) non trae ispirazione, come le altre opere della maturità del compositore, dalla mitologia germanica, ma recupera – attingendo a fonti diverse – un momento di svolta nella storia del teatro tedesco, quello in cui, grazie al poeta calzolaio Hans Sachs, nella regione di Norimberga nacque la commedia tedesca.

L’opera, infatti, ambientata nel Cinquecento, ha per protagonista questo ciabattino-letterato, l’unico rimasto nella Storia della letteratura fra i molti appartenenti alle scuole dei Maestri Cantori (Meistersinger). Costoro, oltre a dedicarsi alle varie forme d’artigianato, coltivavano la scrittura, partendo dal presupposto che la poesia si potesse imparare come qualsiasi altro mestiere. Fissata una serie di rigide regole prosodiche e formali, rielaboravano così soggetti biblici, fiabeschi o leggendari, che poi dovevano accompagnare anche con la musica e il canto. Il risultato erano, nella maggioranza dei casi, opere rigorose sul piano formale, ma artificiose, stucchevoli e prive di originalità.

L’unico Meistersinger che arrivò invece a raggiungere dignità poetica, come si è detto, fu Hans Sachs (1494-1576), autore di opere di carattere sia sacro sia profano, che si distinse soprattutto nell’ambito del teatro. Ardente sostenitore della Riforma di Lutero, da lui definito l’«usignolo di Wittenberg», il prolifico Sachs, cui si deve una messe di canzoni, drammi, dispute e saggi, diede forse il meglio di sé nel dramma carnascialesco, genere volto a illustrare momenti dalla vita quotidiana di contadini e artigiani.

Il dramma tedesco era allora gli albori; il teatro veniva soprattutto messo al servizio della religione e diffusissimi erano i Passionsspiele e i drammi biblici. Gli autori dei testi però, per alleggerire gli aspetti più cupi delle loro narrazioni drammatiche, interpolavano spesso nei testi religiosi brani farseschi. Nelle recite di Pasqua, ad esempio, diventarono lentamente parte fissa del gioco teatrale anche alcune scenette di vita concreta, che pian piano si resero autonome, anche perché il loro carattere profano, a volte alquanto rozzo e scurrile, non era per nulla gradito alla chiesa. La comicità di queste interpolazioni constava soprattutto nella derisione dei difetti e dei vizi umani: voracità, eccesso nel bere o bramosia di denaro erano motivo di riso non meno delle malformazioni fisiche o delle allusioni più o meno pesanti alle funzioni fecali e sessuali. Hans Sachs fu il primo a epurare il linguaggio di questi bozzetti da tali grossolanità e a unire in una trama con uno sviluppo conseguente le scene fra loro slegate, ponendo così le basi allo statuirsi della commedia tedesca. L’arte di Sachs, snobbata in epoca Barocca, fu rivalutata da Goethe e poi riportata in auge proprio dall’opera di Richard Wagner.

Il melodramma, ambientato nella città natale di Sachs, Norimberga, allora importantissimo nodo commerciale e politico, racconta del destino della bella Eva Ponger, figlia di un orafo benestante, che rischia di essere immolata sull’altare dell’arte (o presunta tale), dato che suo padre ha deciso di darla in moglie a colui che uscirà vittorioso dalla gara di poesia e canto dei Meistersinger che si svolgerà il giorno di S. Giovanni alle porte della città. Purtroppo però Walther von Stolzing, che Eva ama riamata, non appartiene al gruppo dei Maistersinger, è uno Junker, ossia un ricco latifondista. Da nobil cavaliere qual è, tuttavia, Walther decide di partecipare comunque alla tenzone, scontrandosi con la resistenza di un gruppo di giurati conservatori, chiusi a ogni benché minima innovazione del loro modo di fare arte.

Candidato ideale per costoro, e rivale in amore di Walther, è l’arido e arrogante Sixtus Beckmesser, pedante esperto di ogni regola astratta, ma incapace di infondere a parole e note la benché minima passione. Solo l’intervento di Hans Sachs che, assistendo alla prova poetico-canora di Walther, ne riconosce e apprezza il potenziale innovativo, permette alla giovane Eva di coronare il proprio sogno d’amore.

Come vuole la tradizione della commedia occidentale, la vicenda si conclude con un doppio matrimonio: quello della signorina borghese con l’aristocratico e quello della fantesca di lei con il garzone di Sachs, promosso per di più al grado di apprendista. Alla fine, insomma, il rigore delle convenzioni è sconfitto sia in arte sia in amore.

Quest’opera di Wagner risulta ancor oggi a molti imbarazzante sul piano politico, perché si chiude con un elogio, cantato da Sachs, alla genuinità e alla grandezza dell’arte tedesca. Il pezzo, dagli evidenti tratti nazionalistici, fu a suo tempo abilmente sfruttato da Hitler. Nel dopoguerra, per la verità, l’opera fu riabilita sotto questo profilo, vuoi con caricature parodistiche della strumentalizzazione che ne avevano fatto i nazisti, vuoi con lo spostamento dell’accento su una concezione tipicamente “romantica” di popolo e di nazione quale comunità di radici culturali.

Anche la musica, dopo l’iniziale trionfo, fu non poco criticata perché ritenuta eccessivamente popolareggiante. Oggi, in ogni caso, non ha più molto credito, visto che il melodramma è nella produzione dei teatri di tutto il mondo.

Alcuni critici hanno offerto della trama un’interpretazione biografica, vedendo nella rinuncia di Sachs a Eva, da cui pure è profondamente attratto, la rinuncia del compositore al suo amore per Matilde Wesendock. Quello che tuttavia avvicina di più il personaggio di Hans Sachs a Wagner è il tormento nel giudizio sul prodotto artistico, dove non solo forma e contenuto devono costituire un’inscindibile unità, ma dove l’omaggio alla tradizione non deve mai arroccarsi su posizioni di assoluta inflessibilità e precludere così la possibilità di accoglienza a spunti nuovi, in apparenza incongrui perché non ligi alle norme tramandate, ma di fatto essenziali per evitare l’asfissia, la paralisi, l’annullamento dell’arte stessa.


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