Riprendiamo – dopo la meritata pausa estiva – con le nostre scoperte di Cercando l’oro.
Dalla Valsesia, in Piemonte, dove abbiamo conosciuto Massimo Orgiazzi, passiamo più a sud, e più precisamente un Puglia, per conoscere Ilaria Seclì.
Ilaria Seclì nasce a Ginevra nel 1975 ma vive a lavora a Lecce.
È del 2005 la pubblicazione d’indolenti dipendenze per i tipi di Besa Editrice che oltre ad esser un libro maturo e pieno, porta un intervento di Giovanni Lindo Ferretti (cantante, autore e fondatore degli ex CCCP, ex CSI poi divenuti PGR) e una acuta potsfazione di Michelangelo Zizzi (attento critico, organizzatore di eventi ma sopratutto riconosciuto e valente poeta). La raccolta è poi inserita nel volume poetiCircus (poiesis Editore, 2005)
Suoi testi sono stati richiesti per diversi portali di letteratura e critica tra cui citiamo dissidenze, liberinversi.splinder.com e su riviste cartacee, Tabula rasa, PaginaZero.
Esistono sicuramente altre pubblicazioni, ma Ilaria è persona e poeta modesta e umile e preferisce sottrarre piuttosto che aggiungere informazioni, valore aggiunto sia alla sua scrittura che all’atteggiamento non più nascente ma consolidato dei giovani (e molto validi) autori della generazione ‘70, ‘80 che finalmente dismettono l’autoreferenzialità in favore di ciò che realmente, nel fare poesia, conta: la Poesia.
Avete presente come funziona un caleidoscopio? Guardate dall’estremità del tubo magico a cui appoggiate l’occhio, la perfezione dei frammenti colorati che sarebbero bastanti per come sono (tanto incantano) se non fosse che con una leggera torsione appaiono nuove visioni, mai uguali alla precedente eppure altrettanto prodigiose. I versi di Ilaria a me fanno quest’effetto: già in D’indolenti dipendenze risulta chiara la costruzione che procede per frammentazione appunto. Una note a margine: la frammentarietà del testo era reputata negativa, nel criterio classico: una poesia riuscitaera (e per alcuni è) quella che si sviluppa armonicamente in tutte le sue parti senza punti di interruzione o di rottura. Nel Novecento, soprattutto Walter Benjamin ha teorizzato la frammentarietà come carattere specifico dell’allegoria: il senso “secondo” (il dire altrodell’allegoria) si ricava, secondo Benjamin, da un insieme di elementi che presentano un aspetto strano, proprio perché non possono essere ricondotti ad un unicosenso.
La frammentazione di Ilaria è per l’appunto anche questo. Una serie di allegorie (mai tirate per i capelli cosi da risultare forzate, mai marcate fino a prendere il sopravvento) che però si ricompongono in un fluire deciso senza convenzioni specifiche se non la carnosa puntualità del dettato spontaneo, della meditata saggezza a cui si ricongiungono le parti, i frammenti per mostrarsi nella nudità feroce con cui vengono convocati: è la lingua dell’osservazione pura, dell’immersione dentro quelle allegorie che a noi vengono proposte come tali ma rappresentano i dettagli della verità, l’inventiva ricca su cui poggia la parola che ci si rimanda cruda, in fendenti. È tutto li: a leggere, è tutto li, la voce diretta, l’intensità, la padronanza dello stile, il parlare di se senza essere egocentrica, che si connette con l’esterno dimettendo l’ombelicalità nullafacente.
E’ conscia dei significati quando le Anafore (ripetizione all’inizio della frase o del verso: può anche essere proseguita e complicarsi con ripetizioni interne) scandiscono martellanti l’inizio dei versi, quando usa le Assonanze, il bisillabo (Verso di due sillabe. Lo schema è per forza: + - . Lo si incontra solo in compagnia di altri versi, soprattutto nel verso libero, come una sorta di frammento minimo) risuonano nella spazialità del verso come colpi bene assestati.
Non c’è niente di scontato né c’è il verso gigione che occhieggia alla facilità di lettura: ogni espressione è soppesata, mutuata dal significato che deve sottolineare e da cui il verso riparte, ogni passaggio è – come dicevo all’inizio – una minuscola visione dentro il caleidoscopio dell’accadere, offerto originale però e molto più ricco.
Negli inediti il verso s’allunga, trova una metrica più distesa senza però rinunciare – ancora una volta – alla frammentazione che riserva un indagine ed una immersione ancor più possente dentro certe gestualità accostate ad allegorie, accostate ad invocazioni, accostate alla materia. E’ ancora una volta una sorpresa e se quanto qui disponibile in lettura non fosse sufficiente, vi invito a piena voce a volerne cercare ancora in Internet per nulla perdere ed anzi, continuarne la scoperta.
Fabiano Alborghetti
Da “D’indolenti dipendenze”, Besa, 2005.
di vertigine sì
e di viaggio
di fortuna
e brividi
d'indolenti dipendenze
di riti decubitanti
di rimandi e di arresti
di dolori accovacciati
a fumare
di partenze brucianti
di bruciati cervelli
lucidati a sangue
di ovattate pelli
aspirapolverati pensieri
di moti singhiozzanti
di vuoti e digiuni
di barbe obese
per passeggiarci lamierose nausee
di gambe aperte
alla sopravvivente voglia di respirare
e bruciarsi.
di elettrici fuochi per dirimpettaie
illecite intese
di sangue che si annoda e si accavalla
di sangue che riconosce e annusa
di sangue che succhia pulsa si attrae
di sangue che m'incrocia schiaccia minaccia
ma non di padre ma non di fratello
di carne sottratta
a morsi
di volti decomposti e mutilate
memorie
di salvezze interrotte
e fortune sputate
di sottrazioni di sottrazioni di sottrazioni
*
Verifica d' Impatto Umano I
ma potrei metterci vasi di fiori
rossi
su questi fianchi larghi
inutilizzati
o bordarli di centrini
tirolesi
o farne autostrade d'accoglienza
per poeti frustrati barboni puttane.
una centale di morte corale
per bruciare feticci di umanità
pagliaccia e deficiente.
o un cimitero di macchine e di memorie
o un ufficio delle cose perdute o incompiute
o una calda sala d'accesso
su confortevoli trampolini
per incipienti apnee o salvifiche
morti
o una bocca a precipizio sul mondo
per salmodiare vomitare defecare.
o una tavola rotonda
per sottoporre a mia Verifica
progetti ad elevatissimo corrosivo letale
Impatto Umano
*
solo afferrarmi alla geografia
dei tuoi piedi
e a bocca sbarrata strozzarmi
del loro illuminato deserto.
o trascinarmi
su secche falangi
in polverosa grotta
e amniotici gridi barbarici.
o circumnavigare
in primitiva danza d'impunita maddalena
il tuo globo oculare
in lentezze di millennio
o i solchi abbandonati
o le fessure abbondanti.
solo riposarmi poi
solo farmi posto poi
solo accovacciarmi poi
nei templi tuoi dell'accoglienza
o, lividi occhi
o, cimiteri festanti
*
Destino al mercato
È la normalità in tutù che arriva
leggera e fiera
che m'impallidisce e mi cava denti sani
ciglia robuste e fitte
per vendermi al mercato
per rendermi gradevole
sul banco della frutta
rosa di pesca tondo di mela
più e più della bellezza che si spera
più e più del rosso di sera
per questo lupi aspettano nel bosco
per questo donne sperano nell' osso
bimba di audace sorriso
strozzalo nel seno l'ingombrante destino
nell'urna di chiavi e vecchie lire di madre
o sotto piante di piedi come salsa dell' estate.
*
(Inediti)
di lì a poco un’altra porta. l’anticamera di Alice
la pioggia al riparo. il vapore alla bocca della scarpa.
sfatti al tempo. faro coperto e fumante.
la sigaretta all’altalena
orfana di fiamma al fuoco vasto e gocciolante.
resta lì sotto il giallo campanile
al quadrato di una scena capitale
impalati gli uomini e il profitto
impalati i venti
l’oro infrange occaso e la sua scheggia
il duomo resta eterno
eterna la bellezza inverginata
eterna la staffetta.
*
al fiume la candela
la pancia slargata al crepuscolo viola
dicembre dondola smunto la mia pietra
gli altri occhi al vetro verde, guardami,
e anche questi stretti alla persiana
e la soffitta belle époque.
(spinti all'acqua tua
spinti all'eterno)
pòrtati i capelli fatti e consumàti ai quattro venti
sfila alle Parche il bianco di sposa alla soglia
al nodo
fatti i fiori ai tagli alla terra buona
e premi il piede e il suono
per la cifra esatta del camminare
riga la costola. la scheggia del dente intirizzito.
e sporgila al fianco.
*
bilancia d'acqua
passarsi la spugna lenta tra il collo e il braccio
magari con la sottana trattenuta ai fianchi
chiudere gli occhi e appendere il profumo al cervello
farne un fatto d'atmosfera un'altalena sospesa a fil di cielo
la solitudine versata nella durata lunga del mare
nell'acqua che sciaborda.
già mia madre mi teneva così
raccolta e appesa nella bacinella trattenuta da due sedie
con le labbra che soffiavano le sue mani insaponate.
già mia madre mi teneva così
già sapevo la bilancia d'acqua
la distanza eterna e rarefatta
di esserci, creatura di grazia, senza stare.
*
al ritorno di niente
non un cuore
schiacciato di polvere
né settespada o formica o cappello
cammina il piede e avvisa il mondo. s'appoggia lento
a trattenerlo. oh vita avvertita. scucita l' ipotesi di malavolontà
si aggira muto e intreccia storie piccole a vicoli senza respiro.
si fermano appena in singhiozzo estatico di baro
e affondano gli occhi e si guardano
al ritorno
le punte
bambine.
*
domani scendo
m'inabisso seme di catrame
piattola termite pulce
assisterò alle coincidenze perfette. nere.
all' interruzione.
un l e n t o capello l e n t o scivolerà l e n t o
a deflagare sulla traiettoria
affaticata della formica.
paralizzata. domani scendo
m'inabisso seme di catrame
piattola termite pulce
assisterò alla coincidenza perfetta
all'interruzione.
uno scarafaggio impaurito e tuttavia
deciso a celebrare in un secondo i 230mila funerali
delle microesistenze. vestito nero occhiali scuri.
i 230mila funerali delle microesistenze.
dell'affidabile e l e n t o processo delle Cose.
dell'affidabile e lento accadimento di morte
delle cose.
*
per ignorarla bisogna organizzarci a gioco
andare a vodka sul puzzo di tappeto bestemmiato
il rosario non si dice ammente né in solitario
organizzarla bisogna sforzando la crescita
e le ciglia. le apnee leggere e il vomito e
le mutande colorate di lolita. l’avanguardia dietro
l’uscio lontano e la lettiera. e le catene sverginate
di legami vecchi e di tegami. l’acqua solo
annegata e persa del pesce e dell’acquario.
in puri e in buoni e gli idioti in tondo e in fondo
e un regno nel cielo nostro povero e stanco.
le mani giunte all’inginocchio di un amplesso
sia santuario santo e profumato colla cacciata del verbo
prostituto. la fuga sia biblica dei poeti sbavati all’aglio
del momento, del canale. letterine dall’inferno
all’inferno a commerciare.
*
l'opera maltradotta
per me solo la camicia bianca. sempre più
bianca. acqua insaponata bollente
merletto luciferino.
un'onda corta di luce zolfina
una pioggia al continente per gli amori
clandestini.
sia spenta la luce e s'indori il silenzio
semplici le parole e profondo il respiro.
il Nulla solo
o la danza leggera del mio uomo
a riparare l'opera maltradotta.
*
restami qui
fissami in marmoreo equilibrio
sulla punta di un chiodo. impenetrata.
insetto di sant'Eustachio.
ruggine scoperta continuami.
cariatide. crocifissa all'ingiù se vuoi
come Pietro di Masaccio.
una fogna per sterco di piccioni
e cani fammi.
ma restami qui mio Signore.
fammi lavatoio del '911
nel giardino spellato dall'arsura.
impagliato. fammi ancora d' arancio
nell'ora che si allunga e stira.
continua a sfregare con la mano
le asperità che vengono al cerchio.
la tua dafne
falla ancora albero
o disusato elettrodomestico
del carsico tuo feudo.