Michele Toniolo
Alcune parole per Alice
Galaad Edizioni, Giulianova (Te), 2011,
pagg. 45, € 5,00
Da rileggere. Non perché si tratti di un racconto di poche decine di pagine ma perché poche decine di pagine sono il frutto di un lavorìo intenso.
Due spinte animano tale travaglio: la sottrazione e l'approssimazione, intesa (e intensa) come una modalità per avvicinarsi, un tentativo di avvicinamento a quanto di più retorico e prolisso la vita ci consegna dalla nascita: la morte.
Sembra che l'autore abbia gettato via faldoni, scatole piene di fogli (tipo quelle che si tira dietro Grady Tripp in Wonder Boys), prima di giungere a una scelta o, per meglio dire, a un peccato, a una caduta. In effetti, pare proprio che, come l'Alice del titolo, che riempie quattro quaderni azzurri con una memoria del figlio che non è finzione e sanguina di refusi, l'autore, che dedica il libro al padre, compia, dal suo punto di vista, un peccato, che è un delitto e che consiste nell'assecondare, alla fine, il suo destino: essere un autore, regalare alcune parole a un personaggio, anche quelle che questo personaggio non frequenta e lascia come vuoti, come lacune da colmare; lacune, omissioni che appartengono tanto ad Alice quanto all'autore.
Ma anche le parole sono lacune, fin dal titolo della storia, a proposito della quale si dice che non sarebbe scorretto se si intitolasse Autunno o Pioggia, ma - si intuisce - non Il delitto di Alice, anche se delitto è la parola più importante nei quaderni di Alice, è la parola necessaria per la sua scrittura dedicata alla morte, alla modalità della morte. E qui ci sono vette che fanno pensare a Iacopone (pp. 22-23 e 32-33, ma in tal senso i due capitoletti 3 e 4, tra pp. 22 e 35, vanno letti interamente e più volte), a partire da parole come croce, grazia, pudore, piangere, respirare, restare.
Luciano Curreri