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Tre anni dopo, Giampilieri rinasce dal fango 
Fotoservizio di Grazia Musumeci
15 Giugno 2012
 

Ho conosciuto Giampilieri, minuscolo paese alla periferia sud di Messina, un anno esatto dopo l’alluvione che nel 2009 ne rase al suolo metà. Vi andammo con un’amica mia, per documentare l’eventuale ricostruzione e per verificare con i nostri occhi se i politici avessero mantenuto le promesse e se fosse vera tutta la storia dell’abusivismo edilizio che aveva spinto molti presentatori televisivi e molti lettori di giornali a dichiarare: «Io non raccolgo aiuti per i siciliani… costruiscono male e poi piangono le disgrazie? Che s’arrangino!»

Quando si dice Sicilia sanno sempre tutto, i benpensanti, quelli che non alzano il fondoschiena dalle loro poltrone comode per andare a vedere. Loro sanno tutto, fanno dichiarazioni e proclami che valgono a senso unico …perché -si sa, no?- siamo sempre noi del sud quelli che costruiscono in barba alla legge (e le case edificate nel letto del fiume, durante l’alluvione di Genova? E i capannoni tenuti in piedi dal nastro adesivo in Emilia Romagna?!). Così siamo andate, la mia amica ed io, e abbiamo respirato l’aria di Giampilieri da vicino. Un paese medievale, costruito nel 1500, per nulla abusivo. Semplicemente un paesino di montagna come ce ne sono tanti in Italia e nel mondo. Una montagna che, però, dopo centinaia di anni di tranquillità quella sera di ottobre si è spaccata per colpa della pioggia torrenziale, certamente anomala per questa zona di mondo.

Un paese sventrato per metà… la via Puntale cancellata dalle mappe per sempre, insieme all’arco civico di terracotta del 1700, a una decina di case e a una trentina di vite umane. L’ondata di fango e pietre non ha avuto pietà. Due pupazzetti di peluche impigliati tra i cavi del telefono, su un muro, a 4 metri d’altezza sono un brivido che non si può descrivere. Significa che appartenevano a Francesco, Lorenzo o Ilaria… quei tre bambini morti nel disastro… significa che magari sono stati strappati loro dalle braccia, come loro sono stati strappati da quelle delle loro madri. La casa verde di Simone Neri, il giovane di 30 anni che quella notte salvò otto persone prima di perdere la sua vita, grida ancora il suo dolore con porte e finestre spalancate al vuoto. E quella stanza da bagno senza più mura né tetto, ma con gli spazzolini ancora ben sistemati nel bicchiere sul lavandino… e quei libri datati 1950 accartocciati in quella che un tempo era una camera da letto… e l’uomo che di nascosto torna a innaffiare i fiori su quel che resta del balcone di casa della madre, trascinata via dal fango.

E poi ci sono le voci. La gente ti vede fotografare e viene da te, perché ha bisogno di parlare, di urlare un dolore muto che in pochi hanno avuto voglia di ascoltare. La signora con i capelli bianchi che scuote il capo e piange per il corredo della figlia, che lei stessa aveva cucito, e che il fango ha tinto di nero per sempre. «Ma devo essere felice, perché almeno noi siamo vivi!» Il simpatico signor Pippo che si indigna quando sente parlare di “abusivismo”, lui che ha ereditato la sua casa da nonni e bisnonni, lui che abita accanto a una palazzina su cui è ancora scolpita la data di costruzione: 1668. Lui, che con i suoi fieri occhi da arabo, dichiara che «Giampilieri è il paese più bello del mondo, altro che abusivo! Venissero qua a vedere, se hanno il coraggio e la voglia di farlo. Ma non ce l’hanno. Non gliene frega niente!» Poi c’è il signore che non vuol dirti il suo nome, ma ricorda come ha aperto casa sua, la sera dell’alluvione, per accogliere i vicini di casa. «Avevo il salotto pieno di gente… nove, undici… tredici… non me lo ricordo. Ma almeno so che quelli li ho salvati tutti quanti!», e poi gli tremano le mani e il mento perché non è riuscito a salvare Ilaria, 5 anni, che poche ore prima di essere uccisa dal fango scherzava con lui sulla soglia:

Che fai, non mi saluti, signorinella?

No, oggi non ti voglio salutare, signor compare.

E va bene … però mi fai star triste!

Ma no dai, signor compare, io scherzavo. Ciao! Ciao, buona notte! Ciao!

Ilaria che non lo prenderà mai più in giro, ridendo come un campanellino, galleggia nelle lacrime dei suoi occhi velati di vecchio.

Andare a Giampilieri tre, cinque, sei volte, e vedere tutto questo, sentire tutto questo, respirare tutto questo ti cambia l’anima per sempre. Ti rende parte di quelle stradine medievali, di quei visi dagli occhi neri, di quel dialetto morbido che scivola sulla lingua dei messinesi. Ti rende parte di quelle mille storie terribili e bellissime. Ed ecco perché, quando tre giorni fa, i telegiornali di mezza Sicilia hanno annunciato che 500 persone hanno avuto il permesso di tornare in paese, ad abitare o a ricostruire le proprie case, finalmente… dopo tre anni di angoscia …anche io e la mia amica, che abitiamo a 100km di distanza da Giampilieri, che non abbiamo pianto nessun morto e nessun dolore, ci siamo sentite felici, vive, piene di energia. Ci siamo sentite bene. Giampilieri ritorna a vivere, le storie cambieranno, da ora in poi. Torneremo sicuramente… e sentiremo di nuovo ridere i bambini e cantare le donne. Non esiste una sensazione più bella di questa… e voglio personalmente augurarla al più presto anche alle persone che hanno subito il terremoto in Emilia.


Foto allegate

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