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Alberto Figliolia. Vite di amanti del pallone non illustri 
Grandi storie nel libro di Mauro Corno
02 Giugno 2012
 

Ai confini dell'impero. Mai titolo fu più azzeccato. Sottotitolo: Storie di emigrazione del calcio italiano. Anche questo assolutamente centrato, quasi profetico. In un momento tragico, anche tragicomico, del calcio nostrano, farcito di partite truccate, scommesse indebite, campioni o presunti tali che coltivano relazioni pericolose, pessimo esempio morale, emblema negativo quant'altri mai, modello scadente e scaduto, decadente nel senso peggiore del termine, troviamo venticinque storie esemplari di calciatori, tecnici, addetti ai lavori che hanno lasciato i confini patri per andare altrove a spezzare il pane della scienza del football, coltivata con dedizione, passione e competenza. A spezzare il pane o a guadagnarselo.

Vip? Vippini, forse. Persone, di certo. Uomini pronti e disposti a mettersi in gioco con onestà e curiosità. Uomini ancora capaci di un sogno. Quello dello sport pulito, di un calcio non contaminato da meschini calcoli di lerci profitti, nel quale non prevalga il disvalore, bensì i valori più puri e genuini.

Vite di amanti del pallone non illustri, si sarebbe potuto intitolare questo libro. O, anche, Vite parallele. Parallele rispetto al marciume che qua, sotto la linea delle Alpi, irrimediabilmente ci invade. Ma invero nessun titolo poteva essere meglio di quello felicemente pescato, evocativo e suggestivo, da Mauro Corno, monzese, 42 anni, che di sé scrive con ironia: «Da bambino era convinto che avrebbe giocato in serie A, in realtà ha trovato la sua dimensione nel Real Villasanta, la squadra amatoriale del suo paese». Ai confini dell'impero, quasi una storia da Cavalieri Jedi della pelota. Storie di emigrazione del calcio italiano, e ciò ci rimanda al nostro destino storico di migranti. Migranti un po' smemorati, visto quel che è accaduto negli ultimi anni, ai confini del nostro “impero mediterraneo”, nel Mar di Sicilia o d'Africa, come dir si voglia.

Ma immergiamoci in alcune di queste storie...

Giuseppe Accardi, il Sandokan di Trinacria, palermitano, 48 anni, centrocampista. Ha giocato nel Pelita Jaya, in Indonesia, Paese che ha dovuto lasciare per il deterioramento del clima sociale e politico venutosi a creare in seguito a proteste e rivolte contro l'allora leader al potere, Suharto. La rivoluzione alle porte, per Accardi un anno e quattro mesi vissuti pericolosamente e, nonostante tutto, tanta classe buttata sul campo.

Tiberio Ancora, leccese, classe 1965, difensore centrale, ha giocato nel Club Africain, in Tunisia. A Tiberio è toccato fare la doccia in mutande e maglietta, giocare alla modica temperatura di 45°, «come avere un asciugacapelli acceso sopra alla testa per novanta minuti». Il suo racconto rende l'idea.

Alessandro Dal Canto, classe 1975, di Castelfranco Veneto, ha giocato nell'Uralan Elista, in Calmucchia, Russia. Inizio marzo: «Ai lati delle strade c'era ancora un metro di neve, il nostro bus si muoveva su percorsi pieni di fango. Le abitazioni davano l'impressione di essere fatiscenti e, in molti casi, con le finestre murate per respingere quanto possibile il freddo. Volevo tornare a casa subito». Rimarrà invece. Anche se è stata piuttosto dura. Poi, il ritorno a Vicenza.

Quasi normale l'esperienza di Ivone De Franceschi, che ha giocato nello Sporting Lisbona, con cui ha vinto il campionato nella nazione lusitana. Mentre Giampaolo Di Magno, di Nettuno, è andato a fare il portiere nel Duque De Caxis, niente di meno che in Brasile. Al buon Di Magno l'esperienza è piaciuta tanto che nella terra del samba (o della samba) vorrebbe tornarci per stabilirvisi definitivamente. Magari, mentre scriviamo, lui ha già rivalicato l'Oceano Atlantico e si sta allenando sulla sabbia delle spiagge di Rio.

Michele Di Piedi, 32enne palermitano, è invece un indefesso giraEuropa: Inghilterra, Sheffield Wednesday – non tantissimi gol, ma proprio d'autore, e un gran cuore –; Norvegia, Odd Grenland; Cipro, Apoel Nicosia. In Italia soltanto serie minori, fuori, con pane e companatico, anche maggior gloria. Potete ammirare i suoi gol su Youtube: più che pregevoli (uno anche in rovesciata: fu gol dell'anno nella ex perfida Albione). Eppure quanti di voi hanno sentito nominare Michele Di Piedi?

Enrico Fabbro, romano, 53 anni, ha allenato il Moufoudia di Algeri. Qui ha vinto la Coppa nazionale e la Supercoppa di Lega e si è guadagnato il diritto, con la squadra da lui condotta, di disputare la Champions League africana. Indimenticabile il viaggio per andare in Nigeria e la notte trascorsa in albergo a Ilorin.

C'è poi Ivan Fucci, portiere – si sa, l'Italia è terra di numeri 1 o, meglio, lo era –. Lui proprio è andato oltre. In India. Pifa Colaba, la sua squadra, militante nella Elite Division, la serie B locale. Si è girato il subcontinente. Da star, finendo addirittura sul Times India. «Abbiamo affrontato avversari schierati letteralmente “a caso”, si notava che alcuni non superavano mai una determinata linea, anche se c'era un pallone da andare a prendere, oppure si buttavano in tre sulla stessa sfera, se solo transitava dalla zona che era stata assegnata loro». Fra un monsone e l'altro, un'esperienza umana impagabile. Ivan ha lasciato infine il calcio degli eredi del Mahatma. Intanto studia per la laurea specialistica.

Vincenzo Gianneo è il mulo delle Ande... In Perù diventa una sorta di ambasciatore dello sport italiano e della cucina tricolore. Certo che giocare talvolta a 2800 m di altezza... Problema analogamente provato/subito da Pietro Maiellaro, gran calciatore anche nella A italiana, pure qualche rete da antologia nella memoria collettiva, finito un giorno al Tigres, Messico e nuvole/ la faccia triste dell'America/ e il vento suona la sua armonica/ che voglia di piangere ho. «Sembra incredibile, ma il più in forma della squadra era il magazziniere, naturalmente si trattava di un messicano. Quando ci portavano a correre tra i boschi, era lui che ci veniva a recuperare, uno alla volta, nel momento in cui non ce la facevamo più e alzavamo bandiera bianca: se io percorrevo dieci chilometri, lui superava i venti-venticinque a sessione di allenamento, gli dicevo sempre che era pronto a partecipare alle Olimpiadi. Credeva scherzassi e rideva, ma io lo pensavo sul serio».

Romano Mattè è un fenomeno: ha allenato le Nazionali di Indonesia, dove fu ribattezzato samurai bianco, e Mali, dov'era amatissimo, il che non gli impedì di essere cacciato o silurato da una congiura, politico-burocratica, di palazzo. Sì, tutto il mondo è paese.

Niente male anche l'esperienza di Giovanni Mei, un tempo tosto difensore, che si è ritrovato nel Saipa Teheran, in Iran.

E ancora...

Rino Lavezzini: ha allenato il Suduva, in Lituania, ma è anche andato al Petrolul Ploiesti, in Romania.

Gianluca Litteri: ha giocato nello Slavia Praga, nella Repubblica Ceca.

Stefano Marrone: preparatore atletico, in Inghilterra con Everton e Manchester City e in Turchia con Fenerbahce e Besiktas. Da Istanbul non si muove più Gianluca. Ha sposato Simem, una ragazza del posto, da cui ha avuto una bimba, Lara. «Istanbul è la mia Napoli».

Francesco Morgan Morini: già azzurro, ha giocato in Canada.

Stefano Napoleoni: ha giocato nel Widzew Lodz, in Polonia.

Salvatore Nobile: ha allenato l'Africa Sports, in Costa d'Avorio.

Adelmo Paris: ha giocato nello Zurrieq, Malta.

Andrea Parola, pisano, 33 anni: ha giocato nel Neftochimik Burgas, in Bulgaria. «Una volta sono stato costretto a noleggiare un'automobile per portarmi almeno fino a Sofia. Non l'avessi mai fatto. Il tragitto è stato un calvario, perché ho percorso strade dissestate, rischiando più volte di sfasciare i semiassi nelle buche, e sono finito in una serie di villaggi nei quali c'era il rischio di scontrarsi con carri trainati da buoi o con qualche maiale uscito dalla gabbia. In quei momenti ti consoli perché ti rendi conto che sei un privilegiato perché guadagni bene facendo sport, mentre c'è gente che si spezza la schiena quotidianamente per mangiare, accudendo le bestie e cercando di coltivare su terreni veramente infami». Onesto, Andrea.

Claudio Pelosi: ha giocato nell'Adelaide City, in Australia. Per sopravvivere alle accuse, sulla stampa, di essere, date le sue origini, un cascatore... «Ho imparato a stare in piedi anche quando mi travolgevano».

Antonino Schipilliti: ha giocato nel Guanacasteca, in Costarica.

Arnold Schwellensattl: ha giocato nel Chongqing Lifan, in Cina, e ne ha passate tante, belle, strane o brutte: dalla partita a 3000 m di altezza all'allenatore nordcoreano, da Macao all'ematoma al fegato. A proposito, non esaltante la vista (e la visita) di alcuni ospedali cinesi. Arnold, che in Cina sembrava avere la taglia di uno Schwartzenegger, ha poi dato calci a una sfera anche in Austria e Norvegia.

Osvaldo Tacchini: ha allenato il Ciego de Avila, a Cuba, e si è permesso di vincere un campionato.

Infine, Giuseppe Zappella: classe 1973, difensore centrale, milanese, ha giocato negli Urawa Red Diamonds. Leggete dell'alimentazione consentita ai calciatori e dell'aneddoto dell'ombrello...

Grandi storie.

 

Alberto Figliolia

 

 

Mauro Corno

Ai confini dell'impero

Storie di emigrazione del calcio italiano,

sedizioni, pagg.134, € 11,00


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