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Valter Vecellio. Finanziamento pubblico, riforme: Game over
28 Maggio 2012
 

«Non siamo tutti Belsito e Lusi». Con questa parola d’ordine i partiti di riferimento della Banda Bassotti ha ridotto il finanziamento pubblico ipocritamente chiamato “rimborso elettorale” da 182 milioni di euro l’anno a 91; il taglio si applica anche alla rata di luglio 2012. «Avevamo detto che avremmo dimezzato i rimborsi e ci siamo arrivati. Si comincia a vedere qualche fatto. Certo, per il Partito Democratico questo vuol dire tagliarci un braccio», dice il segretario del PD Pierluigi Bersani. Metafora, quella del braccio, infelice: in tanti vorrebbero tagliare ben di più che il braccio.

«Possibile che nessuno abbia intravisto il dislivello fra ciò che sta succedendo qui dentro il ‘Palazzo’ e ciò che sta succedendo là fuori, dove ci sono abbandono, isolamento, paura e rischio di rivolta?», annota Furio Colombo (foto), parlamentare spesso in dissonanza con il PD. «Il treno del Parlamento, affollato di maggioranza senza partito e di partiti senza maggioranza, continua a correre, confidente e veloce, su un binario morto. Dispiace, ma andrà a sbattere».

Davvero così non va, e ha ragione Maurizio Turco, che solo grazie a un’espulsione dall’aula di Montecitorio è riuscito in minima parte a comunicare le ragioni alla base del NO radicale: «Non si costruisce una legge del genere nel "buio" delle commissioni, un simile provvedimento andava discusso senza veli, davanti all'opinione pubblica, per far capire a tutti di cosa si stava parlando… Sarebbe stato giusto dibattere prima il dibattito sulla riforma dell'articolo 49 della Costituzione, quello che disciplina la vita dei partiti. Sarebbe stato giusto discutere prima quello, e poi decidere quanti soldi concedere. Invece ora è passato il concetto di partito vecchia maniera, quello del finanziamento pubblico, quello dell'occupazione dello Stato. E non parliamo di come è stato fatto: con una fretta senza precedenti, costringendo il dibattito in due giorni perché qualche giornale potesse vantarsi di aver vinto la sua battaglia… Il problema è che nessuno ha ancora letto il testo per intero. Ci sono state tante di quelle modifiche che alla fine ne è venuto fuori un guazzabuglio. Ora la palla passerà ai tribunali, chissà se questa legge sarà effettivamente applicabile».

La Corte dei Conti, per esempio: fin dal 1993 è stata costretta a fare controlli molto blandi, basati solo su quello che dichiaravano i partiti; la conseguenza del fatto che era lo stesso Parlamento a non darle i giusti poteri. Ora che questi poteri ha deciso di darli, si cerca contemporaneamente esautorare la Corte dei Conti, l'unico organo deputato a farli, quei controlli.

Ecco perché ormai non resta che la carta del referendum abrogativo. E si comprende anche perché la platea di simpatizzanti, anche se non necessariamente votanti, per il Movimento 5 Stelle è destinata ad ulteriormente ampliarsi. «Quasi un italiano su tre, il 31 per cento, secondo i sondaggi curati dall’istituto di Renato Mannheimeri, spera che il M5S ottenga molti seggi alle prossime elezioni politiche». Questo anche se più o meno la stessa percentuale ritiene che i grillini non siano in grado di governare l'Italia: gli si attribuisce un ruolo più incisivo a livello locale, ma si è scettici sulla sua capacità di assumere una responsabilità nazionale, tanto che secondo il 63 per cento dei cittadini il M5S non sarebbe in grado di governare l'Italia.

Nel frattempo continuano i balletti di sempre. Non si è ancora spento l’eco dell’ultimatum congiunto di Di Pietro e Nichi Vendola a Bersani, ed ecco che il leader di Sinistra Ecologia e Libertà fa marcia indietro: «Intanto nessun ultimatum o minacce da parte nostra verso il PD. Nel mio stile non c'è mai stato il tono minatorio. Penso invece che sia stato il popolo italiano, il nostro popolo ad aver lanciato un ultimatum alla politica, in particolare al centrosinistra». «Se proprio di ultimatum si vuole parlare», dice Vendola, «sono stati gli elettori. Un ultimatum che dice: occorre dare speranza al Paese, assediato oggi da una crisi drammatica e che vede nelle risposte del governo Monti nessuna capacità di invertire questa deriva fatta di recessione, disoccupazione, diseguaglianze: che sono l'alimento della crisi di credibilità dei partiti».

La credibilità dei partiti passa attraverso la loro capacità di varare le riforme, dicono un po’ tutti. Dovevano cambiare la legge-porcata concepita dal leghista Roberto Calderoli, ora discutono di semi-presidenzialismo. Il “botto” l’ha fatto Silvio Berlusconi, proponendo un “regime” alla francese. Subito gli fa eco Massimo D’Alema: «Io ho sempre ripetuto che bisogna scegliere tra parlamentarismo e presidenzialismo. E se venisse proposito il modello francese, il semi-presidenzialismo, l’elezione diretta del presidente della Repubblica, non avrei nulla in contrario. Alla Bicamerale era l’ipotesi di riforma costituzionale su cui stavamo lavorando…». Dalla Crostata al Copasir è tutto un “insieme, appassionatamente”.

Tutto questo dibattere, sembra una via di mezzo tra la minestra riscaldata e, insieme della maionese impazzita. Intanto perché per riforme di questo tipo occorre modificare la Costituzione; e questo comporta tempi e maggioranze difficili da raggiungere. Inoltre la “sparata” berlusconiana sembra il classico tappo ai crescenti malumori all’interno del PdL. Il “messaggio” più che altro sembra rivolto al leader dell’appena disciolta UdC Pierferdinando Casini e a Luca Cordero di Montezemolo: «Se mi provocate, torno in campo io e ci contiamo”. Se scende in campo il Cavaliere, ragionano i suoi collaboratori, “il 20-25 per cento dei consensi dei moderati è nostro». La stagione berlusconiana non è conclusa a dispetto di tutte le previsioni? Forse non è solo il sogno di “irriducibili” gioco-forza costretti a legare il loro destino a quello di Berlusconi.

La verità è che la confusione regna sovrana. Angelino Alfano aveva promesso, dopo le elezioni, la mossa sorprendente. Finora non s’è visto o sentito nulla. A Milano i “vecchi” di Forza Italia si sono riuniti per cercare di capire il da farsi; hanno invitato Alfano. Non si è fatto vedere. Un’altra riunione a Bologna, gli aderenti di Fuori, giovani “rottamatori” di destra ex Alleanza Nazionale; a Roma invece si sono dati appuntamento quelli di Ripartiamo da zero-ripartiamo da Berlusconi. Un malessere che non piace per nulla ai maggiorenti del partito. Per tutti Osvaldo Napoli: «Alfano è il segretario di cui ha bisogno il PdL ma basta con queste iniziative che zampillano per ogni dove. Tutta roba è fuffa, mentre il partito, la base, chiede ben altro».

Promette Alfano: «Abolirò il listino riservato ai vertici del partito, rilancerò la proposta politica, cercherò nuovi talenti e cambierò la squadra». Chissà perché viene in mente un vecchio e famoso duetto tra Mina e Alberto Lupo: Parole, parole, parole, parole, parole, soltanto parole parole tra noi….

 

Valter Vecellio

(da Notizie Radicali, 28 maggio 2012)


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