Ha certamente ragione chi sostiene che il terremoto è qualcosa di imprevedibile, che ti può colpire in qualunque momento, senza che vi siano particolari segnali premonitori; e sappiamo bene di vivere in un paese che è a forte rischio sismico: sono ben poche le aree che gli esperti ci dicono essere al riparo da simili eventi. Ciclicamente si viene colpiti da sismi la cui potenza distruttiva è devastante: il Friuli e l’Irpinia, il Belice; il recente terremoto in Abruzzo, il terremoto in Sicilia nel primo ‘900 che rase al suolo Messina…
Proprio per questo, perché in Italia il terremoto è qualcosa di imprevedibile ma non di imprevisto, colpisce e ferisce quanto accaduto in Emilia Romagna. E ancor più colpisce la morte, come sono morte, alcune delle vittime: lavoravano, alle 4 di una domenica mattina, in una fabbrica a ciclo continuo. Morte perché improvvisamente l’edificio ti crolla addosso. Morte schiacciate come morirono a L’Aquila quei ragazzi che si credeva fossero “protetti”, al sicuro nella casa dello studente…
Nicola Cavicchi aveva 35 anni, schiacciato sotto il crollo della ditta Ceramiche di Sant’Agostino, come Leonardo Ansaloni, 51 anni: lavoravano nel reparto monocottura. Ancora due ore e il turno sarebbe finito, il terremoto li avrebbe sorpresi forse mentre sorseggiavano un primo caffè in un bar vicino, o mentre leggevano i particolari di quello che sembra essere accaduto a Brindisi, tornando a casa… Due ore e invece che morti sarebbero vivi; e a morire sarebbero stati altri loro colleghi. Perché la fatalità è il terremoto, ma il tetto della fabbrica, ora lo sappiamo, sarebbe crollato… Il terzo operaio si chiamava Gerardo Cesaro, aveva 59 anni; era originario dalla Campania, venuto nella “ricca” Emilia e si riteneva fortunato per aver trovato un lavoro; magari sognava i giorni della pensione da trascorrere tra i suoi “paesani”, e ogni tanto smoccolava, perché quel sogno si era allontanato di qualche anno. È morto anche lui, a Dosso di Sant’Agostino, per il crollo del tetto della sua fabbrica, la Tecopress, una fonderia a ciclo continuo. Il quarto operaio un immigrato dal nord Africa: Tarik Naouch, morto a Ponte Rodoni di Bondeno ucciso nel crollo della ditta Ursa che produce polistirolo. Anche lui schiacciato dal tetto dell’azienda.
Costruzioni, edifici “giovani”, che si sono polverizzati, spazzati via come fossero castelli di carte; e forse davvero erano castelli di carta. Se lo erano, la responsabilità sarà di qualcuno: chi quei “castelli” li ha costruiti, e chi li ha lasciati costruire, ha chiuso gli occhi e voltato altrove la testa e omesso i controlli, e magari avrà pure ricavato qualche utile da questo suo non vedere, sentire.
Si poteva e doveva fare qualcosa nel campo della prevenzione che non si è fatto. Se non si vuole prestare ascolto a quello che Marco Pannella e i radicali dicono da anni, offrendo possibili e puntuali soluzioni (andatevi a rileggere gli atti di decine di convegni accolti spesso tra la generale indifferenza; le denunce e gli appelli alla “ragionevolezza” fatti in ogni sede possibile, “bastava” chiedere consiglio e aiuto a geologi e architetti: che da anni spiegano e si sgolano che occorre costruire edifici in un certo modo; che occorre curare il suolo in un certo modo; che occorre che palazzi e fabbriche di un certo tipo siano abbattuti e sostituiti con costruzioni come ne fanno in Giappone; che il territorio è qualcosa che non può essere depredato impunemente; che… quello che va fatto, che andrebbe fatto, che non viene fatto, lo sanno, lo sappiamo). Non ci piacciono gli applausi ai funerali, e tantomeno i fischi e le polemiche. Di fronte alla morte dignità e decoro impongono silenzio e riflessione. Ma di fronte a quegli operai morti mentre si guadagnavano il pane col sudore della loro fronte, domande e risposte bisogna porsele e darsele. Non tanto “perché”, ma “fino a quando?”; e perché ancora si resta immobili e non si fa nulla. E se in tutto ciò non vi sia una colpa, e anzi, un dolo grave e imperdonabile.
Valter Vecellio
(da Notizie Radicali, 21 maggio 2012)