«Sono favorevole a una drastica depenalizzazione», ha dichiarato il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Michele Vietti (foto), durante la sua recente visita al carcere romano di Rebibbia: un evento di portata storica, visto che mai in cinquant’anni una delegazione del Csm era entrata in una struttura penitenziaria italiana.
Così, accompagnato da alcuni consiglieri e dai vertici del Dap, Vietti ha incontrato detenuti, agenti della polizia penitenziaria, educatori e altri operatori, e ha spiegato loro che nel nostro paese vige un sistema penale «sovrabbondante», che «intasa i processi» e spesso «non consente l’applicazione della pena a chi la meriterebbe, mentre magari viene applicata a chi ha meno possibilità di difendersi nel processo, di allungarlo, e di farlo prescrivere». Un sistema che sanziona solo i più sfigati, insomma (per dirla alla Martone jr.). E ha poi aggiunto che se «tutto è reato, finisce che nulla è reato», per cui i processi non si celebrano o, appunto, cadono in prescrizione.
Ecco perché il vicepresidente del Csm si è detto favorevole anche a una decarcerizzazione, dal momento che: «punire tutto con il carcere non è possibile». Parole forti che riecheggiano quelle pronunciate a luglio dello scorso anno dal primo presidente della Corte di Cassazione Ernesto Lupo, il quale, intervenendo al grande convegno sulla giustizia organizzato dal Partito Radicale al Senato aveva definito «indispensabile l’elaborazione e l’attuazione di un progetto che punti insieme alla riduzione della pena carceraria, ma anche e soprattutto dell’area della penalità». E aveva inoltre osservato, il presidente Lupo, che nulla impedisce aí magistrati italiani, che ben conoscono le criticità del circuito carcerario, «di utilizzare, nel rispetto della legge, ogni possibile soluzione alternativa o sostitutiva della detenzione carceraria, in attesa che la politica faccia le scelte che le competono».
La politica, sì, che in quella occasione il presidente della Repubblica Napolitano aveva descritto come «debole e divisa e incapace di scelte coerenti e condivise» e invitato a uno scatto dinanzi alle condizioni delle nostre carceri, («una realtà che ci umilia in Europa» e «una prepotente urgenza»), «non fosse altro che per istinto di sopravvivenza nazionale». Frasi gravi, gravissime se pronunciate da un capo dello Stato, che tuttavia a quasi un anno di distanza mentre alla politica è subentrata una tecnocrazia ugualmente debole rispetto alla crisi della giustizia e delle carceri ricordano quelle di un altro Lupo, Alberto, in un noto duetto con Mina: «parole parole parole, soltanto parole tra noi».
Valentina Ascione
(da Notizie Radicali, 18 maggio 2012)