In treno nei miei trasferimenti per il 25 aprile sono capitata una volta vicino a una giovane donna con cui ho attaccato bottone casualmente e alla fine mi ha chiesto come mi chiamo e poi è andata a consultare Google e ha scoperto tutto: siccome due giorni dopo, sempre per i soliti trasferimenti, l'ho incontrata di nuovo e abbiamo parlato ancora, questo mi ha confermato nella mia tesi della “teoria d'occasione” (della quale parlerò nel mio prossimo libro). Una delle cose che la giovane ha narrato è che è venuta via dalla natia Sicilia per trovare lavoro, l'ha trovato nelle Marche ed è contenta di non aver dovuto fare come quasi tutti i suoi compagni di scuola emigrati, in Europa e USA, alimentando quella fuga di cervelli che ci affligge e che sembra non preoccupare i nostri(?) governanti (forse d'ora in avanti li chiamerò “governanti indigeni”, nel senso che non li considero miei, ma solo nati qui).
La fuga di cervelli è un impoverimento sociale culturale e politico secco, senza possibile rimedio, e produce ulteriore impoverimento, lasciando spazio ad avventurieri, a furbi, a disonesti, ai quali non manca la capacità di conquistare spazio pubblico con il qualunquismo più gridato e volgare.
Non credo ci voglia molto a capire che i cervelli scolarizzati sono una risorsa, ma appunto se adeguatamente scolarizzati, poiché da alcuni millenni il trasferimento dei saperi non avviene più per esperienza diretta, ma attraverso un sistema di simboli, che chiamiamo alfabeti.
La scolarizzazione non si può fare con gli stessi effetti a qualsiasi età: perciò i tagli alla scuola, con la susseguente compressione del diritto allo studio, sono un delitto sociale senza possibile rimedio e risarcimento.
Una forma particolarmente brutale di non favore alla scolarizzazione è quella che il governo Monti indica quando segnala come via principale per la “mobilità in entrata” quella delle scuole professionali.
Si tratta di uno di quei processi di “modernizzazione all'indietro” che Sacconi inaugurò quando cercò di ripristinare il Feudalesimo introducendo l'arbitrato obbligatorio invece della trattativa e conflitto di classe.
La politica di Monti ridisegna l'avviamento al lavoro, abolito con l'istituzione della media unica, più tardi, passo capitale nella storia della scuola italiana, che pose il fondamento della democrazia come avvicinamento dei punti di partenza.
Ho conosciuto la scuola di avviamento al lavoro, perché mi è capitato -dopo la seconda guerra mondiale - di dare lezioni private a giovani meridionali che avevano bisogno di quel titolo di studio per trovare lavoro.
Ero laureata da poco e avevo una supplenza nella sede staccata del Liceo scientifico novarese ad Arona, facevo la pendolare, guadagnavo poco e al ritorno davo lezioni private per potermi pagare il perfezionamento in filologia moderna, prima tappa di una carriera universitaria che poi il '68 interruppe (come racconterò un'altra volta).
Ricordo il tempo in cui detti lezioni private come uno dei più faticosi della mia vita (e sono una che sopporta bene la fatica).
Tutta questa premessa autobiografica per dire che comunque tra gli studenti che mi frequentavano allo scopo delle lezioni private, i meno fastidiosi e da me prediletti, erano alcuni immigrati dal sud che volevano il titolo di quelle scuole per poter trovare un lavoro.
Mi ricordo uno di Bitonto che seguiva diligentemente, ma sentivo che non era convinto, sembrava dubitare che gli raccontassi delle storie. Comunque viene da me dalla metà di settembre fino a Natale, poi va a casa per le feste e torna con tre bottiglie di olio di oliva di casa sua, molto ringraziato, perché l'olio di Bitonto è pregiato e la situazione alimentare era ancora difficile. Lo scambio olio-lezioni private scongela un po' i rapporti tra noi, fino a che un giorno gli chiedo se quello che gli spiego risulta comprensibile e se ne trae profitto. Avevo avuto modo di convincermi che il programma dell'Avviamento era mostruoso, e cercavo di renderlo imparabile, volevo avere conferma di ciò. Siccome anche quel programma era -come tutta la scuola italiana- ricavato dal Liceo dei Gesuiti, naturalmente “riassunto”, voleva che si sapesse l'Iliade,l'Odissea, l'Eneide, la Commedia, Ariosto,Tasso e via così. Non potevo certo far leggere tutto ciò: gli raccontavo la trama, ogni tanto qualche passo più famoso in lettura diretta.
Finalmente un po' liberato dalla sua timidezza e incertezza, mi disse che voleva farmi qualche domanda sulla Commedia. E la domanda era: “Ma lei ci crede?” Mi resi conto di botto che non aveva né poteva avere idea di che cosa fosse uno scritto letterario, di fantasia e che perciò trasecolava quando mi sentiva raccontare favole come fossero realtà.
Se perciò noi mandiamo al lavoro cervelli non adeguatamente scolarizzati, ripristiniamo quella scuola classista contro la quale lottammo (magari non benissimo) nel '68 e disperdiamo capacità di lettura della realtà, che non saranno più recuperate, oppure prepariamo cervelli adeguatamente arricchiti, ma non occupabili nelle mansioni modeste che la “mobilità in entrata” dopo l'addestramento professionale indica. Altro delitto sociale senza rimedio, né risarcimento. Questa è barbarie.
Invece bisogna, preparare, utilizzando bene il prolungamento della vita per allungare il periodo della formazione, non quello del lavoro. Una totalità di giovani maschi e femmine del tutto alfabetizzati, in modo che anche i lavori non “intellettuali” vengano svolti per scelta da persone che sono in grado di trasformarli in ricchezza sociale.
Racconto una vicenda: un giovane che conosco e ha avuto una carriera scolastica travagliata perché ha un tasso di indipendenza di giudizio e comportamento che non è compatibile con gli aspetti da caserma che ancora caratterizzano la scuola italiana, interrompe gli studi, poi li riprende, incontra persone addette a dare informazioni che gliene danno di sbagliate, sicché si trova ad essere molto colto (assai più della media di chi ha fatto scuole regolari) e ad avere un vero talento per la cucina. Decide di fare il cuoco, con la sua compagna particolarmente dotata per accoglienza, relazioni, scienza degli ambienti di vita. Loro sono un esempio di come dovrebbe essere la scuola: uno strumento che fornisca a tutti e a tutte il massimo possibile di informazioni e alfabetizzazione culturale, e lasci che ciascuno/a si costruisca il suo cammino lavorativo. Può darsi che attraverso molte storie come questa venga fuori un movimento di locali adatti alla ristorazione e dibattito, chiacchiera politica, una specie di club o salotto, importanti come alternativa alla gerarchia sociale obbligata.
Lidia Menapace