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Mattia Guastafierro. Giordana e Vicari: il cinema come momento di coscienza
02 Maggio 2012
 

Si sa, il cinema italiano di questi tempi non vive certo uno dei suoi momenti migliori.

Il botteghino è sbancato continuamente dalle solite commedie, trite e ritrite, sulla lotta tra i sessi o, peggio ancora, dagli odiati cinepanettoni che monopolizzano spazi e visibilità. Tuttavia, bisogna riconoscere che in quest’epoca cinematografica di decadenza (r)esistono alcune eccezioni, come ad esempio quella rappresentata dal cinema sociale, di cui l’Italia ha un’ampia e forte tradizione.

M. T. Giordana e D. Vicari sono due affermati registi ed esponenti di grande spicco di questa tipologia di cinema e nell’ultimo mese hanno entrambi fatto irruzione nelle sale rispettivamente con i film Romanzo di una strage e Diaz.

 

Il film di Giordana mette in scena il clima politico e le tensioni sociali che segnarono l’Italia di fine anni ’60 e che culminarono con l’attentato di piazza Fontana a Milano. Avvenuto il 12 Dicembre 1969 presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura e costato la vita a 17 civili, l’attentato inaugurò la stagione dei cosiddetti “anni di piombo”, periodo triste della storia italiana in cui la dialettica politica si estese verso gli estremismi e prese in mano le armi. Lo scopo di Giordana è ricostruire la presunta verità storica e fare il ritratto dei possibili mandanti di una strage che ancora oggi non ha colpevoli, percorrendo, in questo senso, una strada che porta agli stretti rapporti che legavano Stato, servizi segreti e gruppi di estrema destra. Il regista, inoltre, mostra chiaramente l’intento di assolvere da ogni coinvolgimento il circolo anarchico guidato da Giuseppe Pinelli (Pierfrancesco Favino), innocente e capro espiatorio della strage, e allo stesso tempo riabilitare la figura del commissario Calabresi (Valerio Mastandrea) che si occupò del caso e che, probabilmente, fu implicato nella morte stessa del Pinelli, avvenuta presumibilmente a causa di una colluttazione violenta durante gli interrogatori.

 

L’abuso di potere da parte delle forze dell’ordine è, invece, il tema centrale del film di Vicari. “Diaz” è, infatti, il nome della scuola presso cui centinaia di manifestanti e non, sistematisi lì in occasione del G8 di Genova del 2001, vennero aggrediti e presi violentemente a manganellate dalla polizia la sera del 21 luglio, in seguito alla morte di Carlo Giuliani e agli scontri verificatesi durante lo svolgimento del summit. Vicari si addentra nei volti, nelle ansie e nel clima di quella notte e riporta alla luce fatti di cui si ha poca conoscenza. Servendosi degli atti dei processi e delle testimonianze dei presenti, sottolinea come l’intervento delle forze dell’ordine, formalmente attuato solo in direzione dei Black Bloc, colpì anche e soprattutto manifestanti pacifici, giornalisti e civili che, per un motivo o per l’altro, avevano deciso di fermarsi per la notte in quella scuola. Per ricostruire gli avvenimenti, il regista si serve della pluralità di voci, mostrando il punto di vista di tutte le categorie coinvolte: dal poliziotto “umano” (Claudio Santamaria) agli spietati mandanti del blitz, dal vecchio e innocuo ex militante della CGIL al violento e anarchico francese. Tutti personaggi costruiti su figure che realmente presero parte a quella notte, ricordata per sempre come uno degli eventi più bui della storia italiana recente.

 

A poca distanza dal 25 Aprile, giorno di festa in cui ricordare la liberazione del nostro paese e la conquista della democrazia, è opportuno avere memoria anche delle pagine spiacevoli che hanno segnato la storia italiana. Il cinema può essere utile in proposito e, oltre che mero strumento di svago, può svolgere anche il compito di ricostruire verità storiche dimenticate e destare, così, coscienze ormai troppo assopite dal modo di vivere moderno.

Romanzo di una strage e Diaz sono pertanto un bell’esempio e permettono un approccio diverso al cinema, più politicamente e storicamente corretto.

 

Mattia Guastafierro


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