[…] Il fatto che il card. Gianfranco Ravasi (foto) abbia celebrato, a oltre settant’anni di distanza dalla morte, una messa funebre in memoria della poetessa suicida Antonia Pozzi è un atto che, in quanto tale, non ha alcun bisogno di essere giustificato. Forse ci si sarebbe potuto chiedere se ciò fosse conforme alla volontà di una persona la quale, pur avendo un'acuta sensibilità religiosa, decise di rimanere sulla soglia rispetto a un'esplicita appartenenza cattolica di cui constatava il gretto perbenismo presente nell’ambiente a lei più prossimo. Nella situazione specifica della Chiesa italiana, sarebbe stato consono a quella celebrazione confrontarsi in maniera diretta con la decisione presa nel 2006 di negare il funerale religioso chiesto per Piergiorgio dalla famiglia Welby. Il confronto è inevitabile ed è venuto in mente a molti. Ci sono, comunque, fondati motivi per dubitare che il cardinale addiverrebbe a una richiesta di celebrare messa in memoria di Welby.
Il grave sta nel fatto che l’atto è stato giustificato. Ravasi ha dichiarato ad Armando Torno (anche lui del tutto alieno dal porre questioni davvero serie) al Corriere del 16 aprile: «Celebro questa messa perché l'atteggiamento che la Chiesa ha attualmente nei confronti dei suicidi presta molta attenzione alle dimensioni interiori della tragedia. Se l'evento drammatico nasce da una superficialità o è causato dal disprezzo dei valori della vita, allora evidentemente non può essere oggetto di una celebrazione. Ma la Pozzi rappresenta il caso di una persona dotata di forte spiritualità e di intensa ricerca interiore, travolta da una sensibilità estrema». Troppo facile, a decenni di distanza, parlare di «sensibilità estrema» circondandola di un alone spirituale ed estetico. Quanto davvero conta sono altre questioni. Domanda: sotto il «disprezzo dei valori della vita» va collocato anche il suicidio Welby? Se Ravasi aveva in mente quest’allusione doveva assumere la piena responsabilità di dichiararlo esplicitamente. Ma il punto più grave non è neppure questo, bensì quello di arrogarsi il diritto, letteralmente divino, di discriminare (almeno potenzialmente) rispetto a coloro che hanno compiuto l’atto estremo di togliersi la vita. Chi è in grado di discernere tra motivazioni buone e motivi cattivi? Chi lo può fare senza varcare limiti preclusi all’umano? La presunta giustificazione proposta da Ravasi lambisce il terreno dell'empietà.
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Piero Stefani
(da Il pensiero della settimana, 21 aprile 2012)
* La citazione, con selezione del brano e grassetti, è proposta da “La rassegna stampa del Centro di Documentazione Rigoberta Menchù”, maggio 2012, curata da Luigi Fioravanti. Chi fosse interessato alla lettura integrale del pensiero della settimana n. 383 di P. Stefani, lo può facilmente reperire qui.