Dopo una sequenza impressionante di minacce, intimidazioni, attacchi mediatici, pressioni politiche e poliziesche, inserimento in liste di proscrizione neonaziste, andiamo anche davanti al giudice, come è sempre avvenuto per gli uomini di buona volontà, amici dei diritti umani, nei periodi di intolleranza, iniquità e repressione.
Esiste un dossier relativo alle innumerevoli forme di abuso istituzionale che noi co-presidenti del Gruppo EveryOne abbiamo subito durante il nostro lavoro umanitario per il popolo Rom, i migranti e le altre minoranze perseguitate, tanto che ci viene riconosciuto il diritto all'asilo al di fuori dell'Unione europea e un diritto a protezione umanitaria anche in molti paesi dell'Unione.
Tuttavia, abbiamo deciso di restare in Italia, costi quello che costi, accanto ai nostri fratelli Rom, ai profughi, a coloro che sono abbandonati e costretti a vivere sotto il giogo dell'emarginazione e dell'odio intollerante. Il nostro lavoro è stato fondamentale e lo è tuttora, per molte decisioni e per l'approvazione di carte che riconoscono i diritti delle minoranze da parte del Parlamento, del Consiglio e della Commissione dell'Unione europea. Lavoriamo con l'Alto Commissario Onu per i Diritti Umani e per i Rifugiati. Siamo appena stati invitati al Parlamento Britannico, in riconoscimento del nostro ruolo di consulenti per le politiche sull'asilo.
Abbiamo accompagnato attraverso l'Italia della persecuzione due delegazioni dell'Unione europea; abbiamo denunciato l'atrocità dei respingimenti e delle deportazione, l'orrore dei Cie e delle carceri, la presenza di un razzismo violento che attraversa il nostro paese senza essere mai perseguito. Ci impegniamo contro la barbarie degli sgomberi degli insediamenti Rom, contro la disumanità delle politiche di pulizia razziale. E adesso... andiamo ancora davanti al giudice, accusati di un crimine terribile: prestare sostegno umanitario a famiglie Rom in difficoltà!
Due agenti della stessa polizia che ha manifestato costante ostilità verso di noi, hanno dichiarato che avremmo “interrotto un'azione di polizia”. In realtà, sono stati loro a bloccarci durante un intervento umanitario verso tre giovani Rom, a Pesaro. Da parte nostra, come sempre, abbiamo eseguito con civiltà, educazione e autocontrollo le loro prescrizioni, in attesa di dare supporto ai tre ragazzi. Non è la prima volta che siamo sottoposti a questo tipo di procedimenti. Hanno ipotizzato di condannarci - sempre a Pesaro - per “calunnia” (fino a sei anni di carcere!) per aver scritto in un articolo che “sottrarre bambini Rom alle famiglie di origine a causa delle loro povertà è un abuso”.
Grazie anche all'intervento ufficiale dell'Alto Commissario Onu, della Commissione europea e di FrontLine Defenders - nonché a una valida difesa legale – il procedimento è stato già archiviato. Ma non è tutto: l'ospedale di Pesaro (ancora un'istituzione!), dopo aver rifiutato di curare una donna di etnia Rom malata di tumore e in preda a dolori lancinanti, ci ha denunciati per “diffamazione” dopo aver letto un nostro articolo in cui riportavamo la testimonianza del figlio della povera donna.
Successivamente, abbiamo sottoscritto un accordo con l'ospedale, in cui l'istituto si impegnava a curare i Rom come tutti gli altri cittadini, ma - disattendendo il reciproco impegno - il procedimento penale è andato avanti, spostandosi dal tribunale di Pesaro a quello di Bologna e, attualmente, a quello di Milano. Tutti questi procedimenti vanno avanti anni e ci costringono a continue spese per la nostra difesa (mentre chi ci accusa è sostenuto dallo Stato italiano), a rintracciare testimoni, convocarli da lontano (in un caso, dalla Romania) a nostre spese, devolvere importanti energie che altrimenti dedicheremmo al lavoro umanitario. Venerdì 27 aprile (lo stesso giorno - ci si perdoni l'enormità del parallelo - in cui, nel 1940, Himmler diede l'ordine di costruire il campo di concentramento di Auschwitz, simbolo monumentale della massima violazione di ogni diritto umano), saremo ancora davanti al magistrato di Pesaro, per difenderci e presentare - tre anni e mezzo dopo l'episodio all'origine del processo! - i testimoni “a nostra discolpa”.
Davanti al giudice: come i difensori dei diritti umani che negli anni della Shoah vennero giudicati da Roland Freisler, presidente del Volksgerichtshof, spesso per lo stesso nostro reato, ovvero l'impegno nonviolento a salvare vite umane, a evitare crisi umanitarie, a preservare la dignità e l'integrità di famiglie colpite da emarginazione e indigenza.
Ci dà energia il sostegno della comunità Rom internazionale: Union Romani, con il suo straordinario presidente Juan de Dios Ramírez Heredia; la Dale Farm, rappresentata da uno dei più grandi e storici attivisti Rom di sempre: Grattan Puxon; il Congresso Mondiale del Popolo Rom di Belgrado; la Comunità Rom Pletosh Romena; Nazione Rom, con l'instancabile Marcello Zuinisi, vero motore della rete umanitaria europea a sostegno dei Rom; la Fondazione Istituto di Cultura Gitana di Madrid; il Kosovo Medical Emergency Group e tante altre organizzazioni e singoli difensori dei diritti umani. Quello che non sanno, coloro che lavorano - invano! - per indurci a interrompere il nostro impegno umanitario, è che da un evento negativo (la persecuzione che ci colpisce) sta nascendone uno vitale e fautore di progresso sociale.
Sì, perché intorno a noi si rafforza la solidarietà fra il popolo Rom e i difensori dei diritti umani, si afferma e cresce una rete virtuosa, che fa della “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” una bandiera e dallo sdegno trae nuova linfa per l'impegno, nuove energie per alzarsi da terra - dove i persecutori l'hanno costretta - e credere ancora in un'Europa (e in un mondo) di uguali, senza sgomberi, accuse e condanne ingiuste, violenze e roghi. Senza la diffusione di pregiudizi, l'affermarsi di una cultura razzista, che disumanizza le minoranze sgradite agli intolleranti. Una rete che pensa a un mondo diverso dall'attuale, basato sulla parità sociale e sulla vera libertà.
E se questa generazione ha perduto il sogno di quel mondo, esso tuttavia germoglia e cresce nel profondo inconscio di un'umanità che non può negare per sempre a se stessa di avere una sola origine e di condividere un solo destino. Che sia consegnato, questo retaggio di verità, a generazioni più sagge della nostra.
Roberto Malini