Baronessa Maria Lucia Soares ha un'anima inguaribilmente brasileira: gioviale, estroversa, allegra, grande amante del calcio. Ma nel contempo si è forgiata fra Parigi e Milano, città, quest'ultima, dove vive e opera, da quasi un trentennio, con la sua pittura calda, potente, emozionale.
L'artista originaria di Pindamonhangaba (un nome di per sé già evocativo) dipinge prevalentemente su alcantara sperimentando nuove tecniche (utilizza nei suoi lavori anche argento e oro zecchino in foglia). Le sue visioni spaziano, dall'eros agli umili interni – la forza della memoria –, dai ritratti umani, carichi di connotazioni psicologiche, a quelli di animali, di cui si recupera il respiro vitale più profondo.
Donna curiosa, si è trovata a oscillare fra il mondo della moda e quello dell'arte cogliendone les liaison non pericolose ed espellendo ogni vacuità, decantando, sedimentando, ricreando.
Sino al 29 aprile si potranno ammirare dieci tele della Soares al Teatro San Babila, Corso Venezia 2, Milano.
Il conturbante sguardo di Esmeralda ci lascia sospesi nell'incertezza: chi è questa creatura? Quanta è meraviglia e quanti e quali gli spietati segni della vita? La composta mudità di Anne Sophie Ginevra spiazza e commuove. Ne La soffitta, straordinario spaccato di cose e oggetti, è il simbolismo dei ricordi ad avvolgerci. In Missao social s'indaga, attraverso un volto corrucciato e due braccia incrociate, sull'universo dell'infanzia: abbandonata? Conscia delle sue immense potenzialità? Una sfida al futuro? Perduta? Da vincere? Bagno di tinta nella sua semisurrealtà stimola i sensi. Ne La cantinetta si torna all'osservazione di un interno-natura morta: serena accettazione dell'ineluttabile quotidiano, in cui pur si celano particole di felicità.
“Caleidoscopica” si è scritto di lei, quanto mai vero. E poi la Baronessa è un'artista, che senza rinunciare all'esplorazione della realtà, anche quella di amare parvenze, non smette mai il vestito dell'allegria né cessa di celebrare la festa dei giorni.
Alberto Figliolia