Giacomo Leopardi scrisse nello Zibaldone: «Lo spirito della legge Giudaica non solo non conteneva l'amore, ma l'odio verso chiunque non era Giudeo. Il Gentile, cioè lo straniero, era nemico di quella nazione; essa non aveva neppure nè l'obbligo nè il consiglio di tirar gli stranieri alla propria religione, d'illuminarli ec. ec. Il solo obbligo, era di respingerli quando fossero assaliti, di attaccarli pur bene spesso, di non aver seco loro nessun commercio. Il precetto diliges proximum tuum sicut te ipsum, s'intendeva non già i tuoi simili, ma i tuoi connazionali. Tutti i doveri sociali degli Ebrei si restringevano nella loro nazione».
In un altro passo, espose il seguente pensiero: «Qual nazione, se non dopo fatta Cristiana, non riputò per doni di Dio, e segni del favor celeste le prosperità, e per gastighi di Dio, e segni dell'odio suo le sventure? (Onde fra' più antichi, e fra gli stessi ebrei, come i lebbrosi ec., si fuggiva con orrore l'infelice come scellerato, e quando anche non si sapesse, o non si fosse mai saputa da alcuno la menoma sua colpa, si stimava reo di qualche occulto delitto, noto ai soli Dei, e la sua infelicità s'aveva per segno certo di malvagità in lui, e se l'avevano creduto buono, vedendo una sua sciagura, credevano di disingannarsene.). Al contrario accadde nella nostra religione, la quale, se non altro, definisce per maggior favore, e segno di maggior favore di Dio l'infelicità, che la prosperità».
Il passo che segue, infine, di cui ho già scritto precedentemente, riassume le convinzioni di Giacomo Leopardi riguardo alle leggi ebraiche: «La nazione Ebrea così giusta, anzi scrupolosa nell'interno, e rispetto a' suoi, vediamo nella scrittura come si portasse verso gli stranieri. Verso questi ella non avea legge; i precetti del Decalogo non la obbligavano se non verso gli Ebrei: ingannare, conquistare, opprimere, uccidere, sterminare, derubare lo straniero, erano oggetti di valore e di gloria in quella nazione, come in tutte le altre; anzi era oggetto anche di legge, giacchè si sa che la conquista di Canaan fu fatta per ordine Divino, e così cento altre guerre, spesso nell'apparenza ingiuste, co' forestieri. Ed anche oggidì gli Ebrei conservano, e con ragione e congruenza, questa opinione, che non sia peccato l'ingannare, o far male comunque all'esterno, che chiamano (e specialmente il Cristiano) Goi ywg ossia gentile, e che presso loro suona lo stesso che ai greci barbaro: (v. il Zanolini, il quale dice che, nel plurale però si deve intendere, chiamano oggi i Cristiani \ywg goiìm) riputando peccato, solamente il far male a' loro nazionali».
È sorprendente notare come il poeta avesse fatta propria una credenza che apparteneva al suo tempo, senza approfondire l'argomento (come era in genere suo massimo scrupolo) attraverso un'attenta consultazione delle fonti: i 613 mitzvòth, precetti o regole di vita, che sono le basi della fede ebraica. Il Talmud (trattato Makkoth 23b) stabilisce che la Torah riporta 613 mitzvoth, di cui 248 sono mitzvoth aseh (precetti positivi o prescrizioni) e 365 sono mitzvoth taaseh (precetti negativi o divieti). I precetti sono spiegati e commentati in alcune opere fondamentali. Ecco le principali:
- Maimonide, Sefer ha-Mitzvoth, (Libro dei Comandamenti);
- Sefer ha-Chinnuch (Libro dell'Educazione), attribuito a Rabbi Aaron ha-Levi di Barcellona;
- Sefer ha-Mitzvòth ha-Gadol (Il Grande Libro dei Comandamenti) di Rabbi Moses di Coucy;
- Sefer ha-Mitzvòth ha-Katan(Il Piccolo Libro dei Comandamenti) di Rabbi Isaac di Corbeil.
I mitzvoth taaseh proibiscono di «ingannare, conquistare, opprimere, uccidere, sterminare, derubare» sia l'ebreo che il gentile e stupisce accorgersi che un uomo di grande cultura e ampie idee come Giacomo Leopardi abbia - sia pure in minima parte e per colpa veniale dovuta a disinformazione - contribuito a divulgare un pregiudizio che oggi definiremmo “antisemita”.
Roberto Malini