Furio Colombo, che ne ha scritto ieri su Il Fatto, l’ha chiamata “La marcia misteriosa”. La si potrebbe anche definire: “La marcia ignota”, come ignote sono quasi tutte le iniziative e le proposte radicali: nel senso che non se ne parla, non diventano argomento di dibattito e confronto. Fra due giorni avrà luogo a Roma, la marcia per l’amnistia, la libertà, la giustizia. Andate nei siti radicali. La lista delle adesioni, di organizzazioni e di singole personalità è sterminata, sono davvero tanti e di ogni orientamento politico e culturale. Beh, non lo sa nessuno. Hanno aderito sacerdoti, cappellani, uomini di chiesa e non solo cattolici; una quantità di parlamentari, di dirigenti politici di destra, centro e sinistra; i garanti dei detenuti, i direttori penitenziari, sindacati dalla Cgil all’Ugl, scrittori e personalità dello spettacolo, consigli comunali, provinciali, regionali… Un giornale che sia andato a chiederne le ragioni, una televisione pubblica o privata che sia che abbia dedicato alla questione – si ripete: per l’amnistia, la libertà e la giustizia – una delle tante trasmissioni che vanno in onda ogni giorno, per chiedere a tutte queste persone perché secondo loro le questioni della libertà e della giustizia passano per l’amnistia. Niente. È da credere che gli stessi aderenti alla marcia, per paradosso, ignorino cosa sia l’iniziativa che promuovono e cosa si prefigga e chieda. Certo: si parla molto della situazione delle carceri. E finalmente, dopo che per anni la questione era stata ignorata, rimossa. Ora non v’è chi non riconosca che la questione è intollerabile, indegna; e, beninteso, lo è, una autentica vergogna per non dire di peggio; e tuttavia, accade che proprio in questo modo, si finisca, magari al di là delle intenzioni, per sfuggire alla questione essenziale.
La questione essenziale è costituita dai milioni di processi in corso, e la loro irragionevole durata, come dicono gli organismi europei che per questo ci condannano in continuazione. Già quasi dieci anni fa il Consiglio d'Europa, attraverso la relazione del parlamentare spagnolo Álvaro Gil-Robles, individuava nella lentezza della giustizia italiana l’elemento che «indebolisce lo Stato di diritto». Lo scandalo sono i circa 180mila processi che ogni anno vanno in prescrizione, un’amnistia di clandestina e di classe, perché ne beneficia solo chi ha la possibilità di pagarsi un buon avvocato che sa come destreggiarsi tra norme e leggi dei codici.
Nel 2010 lo Stato ha dovuto indennizzare cittadini che hanno vinto il ricorso alla Corte europea per oltre sei milioni di euro. Nel 2011 la cifra è salita a otto milioni e mezzo. La Corte inoltre ha già condannato più volte l'Italia per il malfunzionamento dell'unico rimedio, la legge Pinto, finora fornito agli italiani per rivalersi contro lo stato per la durata eccessiva dei processi.
Ecco: è questo quello che non ci vogliono far sapere, che ci nascondono, che impediscono diventi oggetto di riflessione, dibattito, confronto, consapevolezza comune. È la non democrazia che avvolge e stritola questo paese. Questo regime di non conoscenza e negata verità è la peste di cui da tempo parlano Pannella e i radicali.
Prima di chiudere, un pensiero, un fiore ideale per una persona, un compagno, che ci ha lasciato, l’avvocato Peppino Ramadori: radicale quando esser radicale non era facile, da anni non era più iscritto, era sceso dall’autobus radicale. L’ultima volta che l’ho visto, appena un poco invecchiato, un paio d’anni fa, in occasione di un venti settembre a Porta Pia. Peppino ha fatto parte della nostra storia, e poco importa che non condividesse più, o solo in parte, le cose che si cerca di fare. Che la terra ti sia lieve, Peppino.
Valter Vecellio
(da Notizie Radicali, 23 aprile 2012)