Nasce da una precisa esigenza il testo di Hans Robert Jauss Breve apologia dell’esperienza estetica (Mimesis, 2011), che l’introduzione di Matteo Giovanni Brega esplicita in maniera approfondita: quella di offrire una lettura diversa della cultura di massa rispetto a quella adorniana. La contrapposizione è frontale poiché egli ritiene che Adorno sferri un vero e proprio attacco all’estetica, effettuato negando l’utilità e necessità del suo ruolo storico. Anche se, a più largo raggio, la difesa dell’estetica è condotta da Jauss anche contro Hegel che ne aveva addirittura annunciato la morte e comunque la separazione del piacere dalla sfera conoscitiva.
Per Jauss è nella «predisposizione al godimento, che l’arte suscita e rende possibile» il cuore dell’esperienza estetica. Elemento ancora attivo in Goethe che lo propugnava nel Faust, mentre «oggi al contrario l’esperienza estetica è riconosciuta come tale soltanto quando si è liberata di ogni piacere e si è elevata al grado di riflessione estetica». Jauss individua in Adorno il difensore della spiritualizzazione di un’arte che si oppone al godimento, al fine di contrastare la tendenza dell’industria culturale «la quale nel circolo vizioso che deve soddisfare i bisogni indotti con surrogati estetici, ottempera agli interessi occulti della classe dominante». Se Adorno demonizza il piacere, che invece è elemento imprescindibile dell’arte, sarà proprio dalla contrapposizione all’arte di consumo che «l’arte ascetica e l’estetica della negatività ricavano la propria triste legittimazione». Ma la perdita del godimento si tira dietro anche la perdita del fine stesso dell’opera d’arte, questione che non sfugge ad Adorno, il quale non riesce a ripristinare il passaggio sull’abisso che divide, pur considerando la sua estetica negativa come terapia, l’esperienza estetica e la prassi sin qui dominante dell’arte «come promessa di felicità».
Non solo Adorno, ma anche Platone, Agostino, Rousseau, Gadamer, Lukàcs si schierano dalla parte del primato accordato alla sola riflessione concettuale. D’altra parte la tradizione della riflessione teoretica sull’arte «è interamente ascrivibile all’influenza del platonismo» in cui «La dignità del rapporto con il bello è per Platone subordinata alla theoria, cioè all’aspetto speculativo della filosofia». Contro una lettura che contrappone il godere al conoscere e all’agire, Jauss percorre le posizioni che si snodano con continuità a difesa della visione che da Aristotele passando per Kant fino a Sartre – e ridonando il ruolo che compete all’esperienza estetica consentita dall’opera d’arte come ciò che riesce a «rivitalizzare la percezione delle cose resa neutra dall’abitudine» – ricolloca la conoscenza percettiva allo stesso livello della conoscenza concettuale.
Lo studioso, seppur riconosca a Kant di aver innalzato l’ambito estetico a istanza di mediazione tra sensibilità e intelletto, puntualizza che egli non ha riconosciuto «al giudizio estetico, fondato sul soggetto, una funzione conoscitiva autonoma», così come anche in Gadamer sussiste una «fondamentale contrapposizione tra esperienza estetica come ‘accadimento di verità’ da un lato e, ‘coscienza estetica’ come capacità del soggetto di trarre godimento da se medesimo dall’altro». Mentre Adorno giunge «ad incitare il pubblico all’esperienza solitaria nella quale ‘chi recepisce dimentica se stesso e scompare nell’opera’» e non chiarisce «come il solitario e sbigottito osservatore possa essere utilizzato nell’esperienza comunicativa dell’arte per una nuova solidarietà che nasca in vista dell’azione».
Jauss concorda con Marcuse nel «ricollocare nella sua corretta importanza il piacere estetico di fronte a una secolare svalutazione della sensibilità» e con l’esperienza estetica ricettiva di Valery, il quale ristabilisce «il ruolo della percezione ‘rinnovata per mezzo dell’arte’». L’intento di Jauss è quello di assegnare alla funzione critica e creativa dell’arte il compito di opporsi «all’esperienza reificata e al linguaggio omologato della società dei consumi» e di «eliminare il contrasto tra piacere e azione, tra disposizione estetica e prassi morale» tramite la comunicazione. Infatti, egli individua un errore nel circolo vizioso per cui Adorno presuppone «in un osservatore già entrato in contatto con l’arte quella coscienza emancipata che soltanto l’esperienza estetica dovrebbe produrre attraverso il processo di comunicazione e di produzione del consenso». Facendo coincidere l’esperienza dell’opera con l’esperienza dell’Altro, del diverso da sé, Jauss apre uno spiraglio per la libertà umana contro il mondo oggettivo «realizzata tramite il suo immaginario», come possibilità d’intervento nel tessuto sociale.
Il ritorno della visione aristotelica giunge fino al recupero dell’archetipo dell’eroe. Attraverso il rito, il soggetto si riconosce all’interno della comunità partecipando a un’esperienza estetica che supera la divisione tra opera e fruitore, tra attore e spettatore pervenendo all’identificazione morale, ma tenendo ferma la differenza tra esperienza estetica e prassi morale che invece l’idealismo pone come premessa per imporre all’uomo un comportamento determinato.
Affinché l’esperienza estetica torni al ruolo che le compete nell’ambito della ragione pratica, non si può rifiutare l’identificazione con l’ordine sociale esistente, se il fine è poi quello di «stabilire un nuovo ordine nella prassi sociale». Lo studioso tedesco propone che il giudizio estetico sia legato al consenso per ottenere la partecipazione alla costruzione di una norma socialmente costituente. Sarà, infatti, l’identificazione a consentire una estetica della ricezione.
Rosa Pierno
(da Trasversale, 26 marzo 2011)