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In libreria/ Alberto Figliolia. “Parole desti-nate” di Marzia Schenetti
27 Marzo 2012
 

Le parole sono destinate a dire e anche a non dire... il loro senso/ sarà un senso imparato/ senza mai essere capito.

Le parole desti-nate. Un trattino-cesura, una sorta di simbolica frattura esistenziale. O faticoso ricongiungimento con se stessi? Le parole e l'aspro viaggio cui siamo (stati) destinati, senza averlo scelto. Le poesie di Marzia Schenetti sono intense, di un'intensità a volte molto dolorosa. Si sa che il dolore, come la frustrazione di fronte alle cose del mondo – con ogni probabilità la più potente molla creativa –, può aiutare a generare letteratura e in questo volume si aprono squarci di grande poesia. Il che non significa che la vita sia solo dolore. La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore..., scriveva Arthur Schopenhauer. Sì, ma anche fra nostalgie e rabbie, fra ricordi e amore e speranze. L'odio, anche.

Le parole della poesia pongono ordine nel caos che ci vive dentro e ci alimenta: quel disordine, quasi un disturbo, dei giorni che s'inseguono, rancorosi talora al nostro essere e talaltra lieti, ma in sé sempre necessari, ignari e consapevoli/ignoti e noti, indifferenti, perfetti nella loro ragione più intrinseca e remota; quel calvario di filastrocche che la vita è a nostri cuori in attesa di qualcosa, di qualcuno; solitudini rapprese, amare, e comunioni impreviste. Ma la potenza della poesia è già riscatto e la collana fatta di grani di dolore risplende di nuova pacificante e serena luce e anche le “incertezze sicure” trovano un porto, un approdo, dopo aver scavalcato, scavallato, solcato e sfidato, come fragili e coraggiose navi di legno, onde pari a muraglie e terribili burrasche di vento e acqua.

Sono una figura solida/ tracciata però a matita/ ogni parete/ visibile e inesistente/ nello stesso tempo. Alla meta siamo nudi, non c'è scampo. Però... All'alba/ mi sono seduta su un primo letto d'autunno./ Il mio cane/ mi ha seguita e ha appoggiato/ il suo pesante muso sulla mia spalla./ ...Un bellissimo abbraccio, ho pensato,/ di quelli veri.

La vita è una dura e impervia scalata durante la quale alla vista possono tuttavia aprirsi impensabili e impensati panorami e orizzonti, tracce di meraviglioso, nubi e valli di bellezza. Mi commuovo seduta e sola sulla vetta di un/ monte./ Mi perdo in quel suono di silenzio./ Svanisco con tutto il bagaglio della mia vita, i/ listelli, le ceramiche, conti correnti, la gente/ stupida./ Lì, tra l’aria e il niente cosa rappresento?/ Solo il sibilo del vento./ Solo il battito del mio cuore./... A volte, capita che mi debba sdraiare,/ all’improvviso,/ fino a schiacciare il viso sulla terra./ Sento che ci sono./ Sento che il vuoto non è uguale al niente./ Quel senso di paura, allora, diventa un abbraccio/ premuroso e gentile.

Nell'abisso del sonno ogni notte sprofondiamo, sospensione dalla vita cosciente, così come l'amore ci separa, splendida e fragile (illusoria?) cortina, dall'abbandono e dal timore della morte. L'amore in cui due singole ali paiono unirsi a donare la possibilità del volo: Vedo l'amore solo attraverso le rughe del tempo/ dove un sorriso di un uomo/ non possa mai più tagliare affilato/ i suoi etti di carne in cambio./ Vedo l'amore in un tempo lontano e veloce/ quando l'attimo prende il valore di anni/ perché i conti diventano urgenti.

E il ricordo, che stempera, edulcora, vivifica, ma può pure assumere orribili parvenze? Ho vagato tutto il giorno tra le strade sconnesse/ dei ricordi,/ percorso ogni chilometro di passato mi sono/ frustata le scarpe e forse anche i miei poveri/ piedi./ Adesso ho uno scialle di stanchezza/ infinita,/ reduce di un viaggio di dolore./ Mi serve acqua calda,/ mi serve un letto pulito, mi serve.

Talvolta sono i semplici affetti o le umili cose, gli oggetti, della vita quotidiana a garantire un'insperata ancora di salvezza – ho visto un vecchio paio d'occhiali/ abbandonati sulla cassapanca/ e un nostalgico odore di fiori/ ha riempito la stanza./ Ho stretto la mano,/ in me,/ tutta la tua forza antica,/ papà – talvolta è la vista del poeta, quello sguardo d'aquila sul mondo, rarefatto, prezioso e pur dolente dono, o la mantica cecità del profeta – disarmata di ogni sofferenza/ e denudata di ogni veste di apparenza/ mi tolgo gli occhi e li tengo tra le mani/ Apro la porta di oggi e la stessa di domani/ Vedevo un pugno e il colpo sul mio legno/ e un infinito del mio tempo come pegno/ Ma gli occhi che ti porto oggi sul palmo aperto/ son occhi ciechi che camminano sicuri allo/ scoperto.

Un libro importante, per sé e per tutti coloro che senza pregiudizio lo leggeranno. Perché anche la più oscura e tenebrosa e polverosa galleria termina nella gloriosa luce della verità. E dell'amore che governa gli stessi moti degli astri.

 

Alberto Figliolia

 

Marzia Schenetti, Parole desti-nate

il Ciliegio, 2012, pag. 14, € 12


 
 
 
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