In Italia parlare di prostituzione significa essenzialmente parlare di cronaca. Cronaca nera, più o meno rosa, spesso politica. Quello che emerge assai raramente è invece un dibattito politico-istituzionale che affronti l’argomento nella sua complessità e interezza. L’offerta di prestazioni sessuali è, nel nostro paese come nella maggior parte di quelli europei, un’attività lecita e legale, cioè non prevista nel codice penale come reato. Ciò che viene, giustamente, punito dall’ordinamento sono la schiavitù, lo sfruttamento, la prostituzione minorile, e dunque tutte le conseguenze che derivano dall’essere la prostituzione un’attività completamente sprovvista di regole. Non solo. Il fatto che il mestiere più antico del mondo non sia stato regolamentato comporta che i diritti delle e dei sex workers, dalla dignità personale alle garanzie sanitarie e assistenziali, restino completamente dimenticati. Non è un caso se nei paesi europei dove la prostituzione è disciplinata a vari livelli, dalle normative statali sino alla gestione locale nelle città, i diritti in questione siano obiettivi centrali e ormai raggiunti. Olanda, Germania, Austria, Svizzera, Ungheria hanno capito da tempo che l’unico modo per separare il mercato coatto della violenza e dell’illegalità da quello dell’esercizio di un’attività professionale, considerata al pari di qualsiasi altro lavoro o prestazione artistica, è regolamentare il mercato stesso.
La legalizzazione spesso include, peraltro, l'imposizione di tasse e restrizioni, più o meno ampie, nell'esercizio dell’attività di la prostituzione. In Grecia (la legge è del 1999) è ammessa la sola prostituzione indoor, le prostitute hanno l’obbligo di registrarsi a scopo sanitario e sono tenute al pagamento delle imposte. In Lettonia, dal 2000, può essere esercitata in abitazioni proprie ovvero in aree individuate dallo Stato mentre nei Paesi Bassi è ammessa in luoghi chiusi, in aree determinate, ed, all’aperto, in zone individuate dai comuni. Alle prostitute sono riconosciuti diritti e doveri del tutto analoghi a quelli previsti, in generale, per il prestatore di lavoro. In Germania, poi, le e i sex workers possono esercitare l’attività sia come lavoratori autonomi che come dipendenti, e al fine di evitare fenomeni di sfruttamento, depotenziando il racket che ruota attorno alla prostituzione, è espressamente previsto il divieto di cessione a terzi dei crediti da lavoro della prostituta, che sono peraltro soggetti a tassazione. L’approccio politico-culturale di tali paesi è quello di considerare la regolamentazione come il mezzo per integrare il mercato della prostituzione nell’economia formale, rimuovendone contestualmente lo stigma.
In questo quadro, l’Italia si ostina a non voler fare passi in avanti e continua a perseguire la strada delle ordinanze proibitive, nella tipica forma italiota dell’“anti-tutto” (anti-prostituzione, anti-degrado, anti-alcool, anti-scollature e via dicendo), e che hanno raggiunto l’unico risultato di spostare il giro da un quartiere all’altro o dai centri-città alle cerchie più periferiche. I numeri rimangono infatti invariati, il mercato illegale resta ingente e gli obiettivi di tutela medico-assistenziale per chi esercita la professione sono scomparsi dalla scena. A volte le giunte locali scelgono la via della punizione del cliente o della prostituta stessa attraverso multe salate, come è avvenuto di recente a Roma e a Padova.
Premettendo che risulterebbe difficile immaginare di quale strano reato si siano macchiati i soggetti in questione (la ricerca della felicità, forse?), l’efficacia, anche economica, delle misure non è mai venuto a galla. Infine, il tutto avviene sotto una millantata maggiore sicurezza per i cittadini, che fessi non sono e che prima di votare di nuovamente quei cantastorie della politica (da De Corato ad Alemanno) ci hanno pensato o ci penseranno due volte.
È evidente quindi come l’approccio della repressione abbracciato dalle nostre istituzioni, quello per il quale i comportamenti e le scelte individuali vengono additati come peccati e trasposti nella sfera del reato, abbia fallito a tutti i livelli. E allora non resta che guardare ai nostri vicini, prenderne esempio e provare ad introdurre quei modelli virtuosi anche nelle nostre città. Come sta avvenendo a Milano, dove, come Radicali Italiani, Associazione Certi Diritti e Associazione Luca Coscioni, abbiamo presentato una proposta di delibera popolare per regolamentare la prostituzione, in particolare attraverso modalità e orari di esercizi commerciali e appartamenti dove singole prostitute o cooperative possano esercitare la loro attività. Nella convinzione che il rispetto dei diritti di ciascuno non possa che passare dalla previsione di regole, e che governare un fenomeno sia di gran lunga più efficace che proibirlo.
Giulia Crivellini
(da Notizie Radicali, 15 marzo 2012)