[...] Nella sua ossessione di vivere la poesia come separazione totale dal mondo degradato che lo ospita, il poeta non dà tregua alla parola: le usa di continuo violenza per “strapparla” all’usura del suo impiego quotidiano, per estraniarla ai suoi significati consueti ed “elevarla” come vuole Stefan George, «a sfera radiosa». Il lavoro del poeta conduce verso la liberazione della lingua dai grumi contingenti, fino al recupero del fantasma di una purezza poetica universale, dove rinasca la necessità tra le res e i nomina. Fino al silenzio. Che sarà detto in modo tale da portarlo attraverso la parola poetica all’ascolto.
[...] Il poeta è domanda. Non ha in sé il proprio fine. Non ha una personalità da esprimere. Non ha un “suo proprio” da rappresentare.
[…] la poesia è viaggio: cammino volto a incontrare l’Ur-Phänomen, l’apparizione di qualcosa che non si può manifestare altrimenti. Ecco perché il poeta, facendosi guerriero, si slancia nella vastità del mondo e della storia: di un mondo irraggiungibile e di una storia perduta. [...]
Da Flavio Ermini, “La carne e il respiro”
(in: AA.VV., a cura di Maria Fresa e Tiziano Salari, La poesia e la carne. Tra il labirinto dei corpi e l’inizio della parola, La Vita Felice, Milano 2009)