Intouchables: intoccabili, come paria sociali e della vita. Intouchables. Meglio che Quasi amici, il titolo italiano. Il film, per la regia di Olivier Nakache e Éric Toledano, racconta la storia della strana assortita coppia costituita dall'aristocratico tetraplegico Philippe e dal suo vulcanico badante africano Driss. Due opposti che si attraggono e due complementarietà per una vicenda umana toccante e per un film che riesce a essere oltremodo spassoso, nonostante il dramma sempre incombente di situazioni e incroci esistenziali alquanto precari e dolorosi.
Pellicola baciata da un successo di pubblico clamoroso e travolgente, Intouchables-Quasi amici ha davvero sbancato il botteghino, in poche settimane divenendo il secondo film per incassi della cinematografia francese all time (primo rimane Giù al Nord). E con merito. Ruffiano quanto basta, ma senza superficialità, il film fa ridere, e molto, ma anche pensare...
Peraltro la sceneggiatura si è sviluppata da una storia vera, anche se poi si è modificato più di qualcosa per costruire un film tanto divertente e coinvolgente. Ciò, come detto, nonostante la tragedia di fondo: il tetraplegico c'è sul serio, non è affatto finto. Philippe (Pozzo di Borgo, di famiglia di nobile origine corsa) si è spezzato due vertebre in uno sventurato volo, con schianto finale, con l'amato parapendio. Da allora è inchiodato su una sedia a rotelle. Nel mentre l'adorata moglie Béatrice soffre di un tumore e morirà, lasciandolo ancor più nello sconforto e nella solitudine. Della malattia della moglie si narra nelle pagine dell'autobiografia di Philippe – libro molto bello e provvisto di gran stile, a tratti onirico, sovente disperato, ma anche altamente (auto)ironico, Il diavolo custode (Ponte alle Grazie, 2012, pp. 208, euro 13,90) –, mentre nel film la loro storia d'amore e il nero periodo della sofferenza sono semplicemente evocati.
Philippe, che per fortuna (almeno quella) è ricchissimo, assume l'aitante ragazzone venuto un tempo in Francia dal Senegal in maniera “rocambolesca” (nella realtà è di origine algerina e si chiama Abdel), a dir poco controcorrente, ex carcerato, iperdinamico, manesco (solo qualche volta) e sommamente vitalistico, imprevedibile, combinaguai e cuor d'oro. Driss-Abdel non regala pietismo a buon mercato o per mercede, lui è quello che è e sviluppa con il “padrone” un rapporto praticamente paritario. Con rispetto e genuino affetto. La vita di Philippe, stoico nel sopportare ogni dolore (quasi con classe, se si può dire) si riaccende. I due se ne inventano abbastanza, fra confidenza e complicità (per quanto ciascuno sia cosciente dei propri ruoli e condizioni nel difficile mondo che li/ci ospita).
Il lieto fine è d'obbligo, ma non disturba affatto. Persino l'amore busserà alla porta... E davvero Philippe si è risposato; ora vive in Marocco, mentre Driss-Abdel è diventato imprenditore e ha messo su famiglia. Le due persone reali, modello dei personaggi della “finzione” cinematografica, si vedono ancora.
Un film che cattura, con interpreti assolutamente all'altezza. Strepitoso Omar Sy (Premio César 2012 come miglior attore) nel ruolo dell'atletico e scombiccherato badante che si muove fra banlieu e raffinati ambienti borghesi non perdendo mai faccia tosta, spontaneità e sensibilità.
Da vedere.
Alberto Figliolia