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Pubblici i legami finanziari tra psichiatria e aziende farmaceutiche
23 Agosto 2006
 

Il New Scientist e il Washington Post, due tra le più autorevoli riviste a livello mondiale, l'hanno recentemente reso noto (NS 29-04-06; WP 20-04-06). Dei 170 membri che collaborarono alla stesura del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, la cosiddetta “bibbia” psichiatrica, 95 di loro, più di metà, avevano legami con le industrie farmaceutiche, prima o dopo la pubblicazione. La percentuale sale al cento percento nel gruppo che lavorò ai disturbi schizofrenici, psicotici e dell'umore. Proprio i settori che secondo il Chicago Tribune hanno registrato la massima vendita di psicofarmaci, con un giro d'affari che nel 2004 si attestò a oltre 30 miliardi di dollari. Più è redditizio il mercato, maggiori sono i collegamenti.

Lo scandalo, non a caso, si è verificato in concomitanza al crescente dibattito sugli psicofarmaci, divenuti il principale trattamento psichiatrico, se non l'unico.

Simili accuse erano già state mosse nel 2002 da Allen Jones, investigatore dell'OIG (Pennsylvania Office of the Inspector General), nei confronti del “Texas Medication Algorithm Project” dell'amministrazione Bush. I finanziamenti, infatti, partivano in realtà dalla Pfizer e dalla Janssen Pharmaceuticals. Jones in seguito a queste sue dichiarazioni fu licenziato.

Spesso gli autori dei testi psichiatrici sono anche consulenti, ricercatori o conferenzieri di multinazionali e molte malattie sarebbero inventate dopo che la cura è stata preparata. In pratica, prima si cercano i farmaci e poi si crea la malattia.

Secondo un'inchiesta del Guardian britannico, pubblicata nel marzo del 2002, gli universitari ricevono ingenti somme di denaro dalle industrie per decantare nei loro articoli scientifici le proprietà terapeutiche dei nuovi psicofarmaci. Joe Sharkey, altro investigatore nel settore dei medicinali, si spinge oltre, sostenendo che molti psichiatri sono membri, consiglieri o azionisti delle stesse industrie farmaceutiche.

Non è facile prevedere le conseguenze a lungo termine di simili ingerenze, ma certamente hanno contribuito all'ampliamento delle definizioni delle malattie mentali, inventandone di nuove, per cui possano essere prescritti “farmaci” d'ultima generazione.

Mildred Cho, della Stanford Univeristy spiega: «L'esistenza di categorie di malattie convalida la necessità di farmaci. Le aziende farmaceutiche hanno un incentivo ad esercitare la propria influenza su coloro che formulano tali categorie». Resta comunque il fatto che ad oggi la psichiatria non ha dimostrato l'esistenza di squilibri biochimici che giustifichino l'uso di sostanze chimiche.

 

Davis Fiore

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