La musica del cinema cubano. Molto meglio del cinema cubano. Musica senza parole. Come dire, senza censura. Dove non hanno mai osato sceneggiatore e regista, il compositore è passato senza chiedere permesso, diretto all’anima. Melodie che sopravvivono nella memoria del cuore, che ricordiamo anche quando non siamo più in grado di distinguere a quale pellicola cubana appartengono. Potrebbero persino appartenere a qualche orribile documentario degli anni Settanta. Una musica mai ufficiale e celebrativa che, una volta scoperta dagli archeologi sotto una cappa di muffa e negligenza, sarà la vera colonna sonora della Rivoluzione.
Allora non me ne rendevo conto, ma per anni sono andato al cinema solo per ascoltarla. Odiavo il cinema cubano, ma andavo lo stesso a vedere ogni prima visione e persino le repliche. Andavo a caccia di sonorità per dare un senso alla mia adolescenza silenziosa, introversa, composta di scenari muti che non mi permettevano di capire se volevo davvero vivere qui. Non solo, non riuscivo a comprendere neppure se volevo continuare a vivere.
Posso garantire che la musica del cinema cubano mi ha salvato dal deserto atroce che sarebbero stati gli ultimi anni Ottanta. Un deserto ridicolizzato quando arrivarono gli anni Novanta con una carica di violenza rionale e di fucilazioni ai massimi livelli. Sono stati anni di esili in massa e di strane malattie per colpa di una dieta decadente e per la mancanza di igiene.
Non conosco cosa più stupida del cinema cubano. A parte due o tre opere maestre, il panorama è stato sempre monopolizzato da modeste commedie. Ridere di noi stessi, si presume che sia la nostra miglior tradizione. Ridere, mostrando i denti come se fossero di un teschio.
La musica si vergognò della mancanza di sincerità delle immagini: l’ingenuità criminale anteriore soppiantata da un’ipocrisia apatica, afasica, con cui abbiamo messo da parte la nostra ultima opportunità di essere liberi almeno nella sponda illusoria dell’immaginazione. Eravamo autori austeri, siamo diventati servi sinistri.
Un giorno mi resi conto che erano almeno cinque o sei anni che non mettevo piede in un cinema cubano. O meglio, entravo ma non ascoltavo niente, neppure quel silenzio spaventoso che sarebbe risultato così magistrale (con una eccezione). Neppure un’aria armonica da portare nella solitudine delle nostre case, che in realtà erano carcasse. Gusci vuoti di una patria priva di protagonisti e pentagrammi.
La musica del cinema cubano scomparve quando i suoi compositori cominciarono a ingrassare, a mettere da parte dollari e visti d’uscita per l’estero. Divenne paleomusica. Rimase registrata nella puntina imperfetta di un epoca maledettamente reale. Fu per lei impossibile rigenerarsi nel nuovo secolo e nel millennio digitale. Adesso non è possibile neppure un pessimo plagio. Questa sordità la chiamiamo, per essere precisi, socialismo. E va da sé che sorridiamo. Risate con i denti guasti, ciechi ma orgogliosi del loro disfacimento come se fosse un’indecente e democratica decorazione.
Orlando Luís Pardo Lazo
(da Voces n. 13, febbraio 2012)
Traduzione di Gordiano Lupi