Signor Presidente,
giovedì il Governo incontrerà i rappresentanti dello Stato Città del Vaticano per poi celebrare l’anniversario della firma dei Patti Lateranensi e del nuovo Concordato del 1984.
La tradizione in cui mi riconosco ritiene quella pattizia – al pari di tanti cattolici, del passato e del presente – una scelta infausta per l’Italia come per la Chiesa.
Proprio per questo sarò, insieme ai miei compagni e a coloro che riusciremo ad avvisare, fuori dall’Ambasciata italiana presso la Santa sede (a proposito, ma è davvero necessario tenere in piedi a spese dei contribuenti una struttura anacronistica che dista alcune centinaia di metri dagli uffici governativi?) per affermare l’urgenza dell’abolizione del Concordato e della denuncia del Trattato lateranense. Per affrancare la nostra Repubblica dal peso economico e civile di uno Stato assoluto e confessionale, per assicurare finalmente il diritto a una vera libertà religiosa.
Non mi rivolgo a Lei perché faccia Sue queste convinzioni, sebbene siano state quelle di cattolici liberali come Rosmini e Manzoni. Né tantomeno perché tolga l’esenzione sull’ICI di cui godono le attività commerciali degli enti ecclesiastici, trattandosi di competenza esclusiva delle autorità italiane e avendo fede nell’impegno che il Governo ha preso in Parlamento di eliminare ogni sorta di privilegio fiscale.
Le chiedo di sottoporre alla delegazione vaticana la necessità di avviare rapidamente il processo di revisione del sistema di finanziamento pubblico delle confessioni religiose.
È oramai tempo che le chiese, al pari dei partiti, si finanzino esclusivamente con le donazioni dei privati anziché tramite la fiscalità generale.
In ogni caso, non è pensabile mantenere inalterato un meccanismo, quello dell’otto per mille, che si è rivelato assolutamente illiberale, iniquo ed eccessivamente costoso per i contribuenti.
Come Ella saprà, questo sistema non consente libertà di scelta in quanto costringe ogni cittadino a finanziare le confessioni religiose indipendentemente dalla propria volontà, spesso addirittura a sua insaputa (quasi il 60% dei contribuenti non esprime alcuna scelta ritenendo erroneamente che il suo otto per mille rimarrà allo Stato).
La somma sottratta al bilancio dello Stato supera il miliardo di euro l’anno, essendo cresciuta in maniera abnorme nel corso degli anni. Consideri che nel 1990 la Conferenza episcopale italiana incassava 200 milioni di euro, mentre a partire dal 2002 riceve oltre 1 miliardo di euro. In pratica, il gettito dell’otto per mille si è quintuplicato, mentre nello stesso periodo lo stipendio di un prete (la principale destinazione cui la legge vincola l’uso dei fondi) è poco più che raddoppiato.
È la stessa legge istitutiva (articolo 49) a prevedere questa eventualità, disponendo che si proceda in tali casi a una riduzione dell’aliquota e affidandone la prima valutazione a una Commissione bilaterale istituita presso la Presidenza del Consiglio.
Sebbene le relazioni di questa Commissione siano da anni scandalosamente sottratte a qualsiasi forma di conoscenza, è di tutta evidenza che la cifra di 1 miliardo di euro sia incompatibile con l’attuale situazione economica del Paese, oltre che con quanto previsto dalla legge.
Mi auguro, dunque, che in occasione dell’incontro di giovedì il Governo voglia chiedere la disponibilità delle autorità cardinalizie per procedere di comune accordo a una immediata riduzione dell’aliquota e alla restituzione ai cittadini della libertà di scegliere se finanziare o no le confessioni religiose.
Sono convinto che tale richiesta non potrebbe che ricevere molta attenzione da parte dei rappresentanti di istituzioni che si richiamano all’insegnamento cristiano della povertà.
Mario Staderini
(da Notizie Radicali, 15 febbraio 2012)