a mia moglie Dargys
La finestra della nostra aula scopre un panorama di isole lontane e il mare frange la scogliera proprio sotto i nostri occhi.
Voli di gabbiani sulla piazza più antica del paese, rifugio di ragazzini innamorati che si abbracciano sulle panchine di marmo.
Pensionati che guardano e sorridono. Ricordano tempi lontani.
Io e Roberto mettiamo in atto la solita fuga durante l’intervallo e scappiamo tra le antiche scogliere, vicino alla fonte e al vecchio ospedale distrutto. Lo sappiamo che i professori non vogliono e che è vietato uscire da scuola per ogni motivo. Ma è troppo bello volare sul mare per raccontarsi sogni e avventure mai vissute. Perché la scuola è una cosa, ma la vita è un’altra.
– Il mare è perfetto. Sa sempre quello che vuole, – dico con gli occhi immersi tra le onde che frangono la costa.
Lui mi guarda sorpreso.
– Non ti capisco, Marina. Cosa vuoi dire?
– Lo vedi come sa dosare il rumore delle onde, quasi fossero parole? Sa sempre quello che deve dire. E fa risuonare le scogliere di sorrisi e dolori.
– Il mare non ha un pensiero proprio. È mosso dai venti e dal caso, – risponde scettico Roberto.
Mi fa rabbia a volte Roberto. Mai che si lasci andare a ciò che tiene dentro. Tutto per lui deve avere una spiegazione razionale.
La vista del mare muove dentro me una tempesta di sensazioni.
Lo vedo come una persona che si risveglia e si agita in mille pensieri. Il suo umore condiziona il mio modo di pensare e accompagna la mia vita.
– Però è bello quello che dici – aggiunge – sai trovare delle immagini affascinanti. Da grande dovresti fare la scrittrice.
Alzo la testa e sorrido.
– E l’acciaieria, Roberto? Dimmi cosa ti ricorda.
– Non saprei. Solo mio padre che lavora e torna a casa stanco.
– A me quando la osservo di notte fa l’impressione di un bambino che piange. Un ragazzino indifeso che chiede aiuto. Rumoreggia dolorante dalle siviere e dall’altoforno. Perde lacrime di sofferenza dalle immense ciminiere. Mi fa tanta tenerezza.
– Ti vengono delle idee…
– Di giorno invece mi spaventa. È un mostro gigantesco, invincibile, che inghiotte tutti coloro che si avvicinano. Non riesco neppure a guardarla, perché ho paura che mi catturi, mandandomi incontro le spire dei suoi fumi rossastri.
– Ne hai della fantasia…
Credo di averlo sconvolto, come sempre. La vita reale è così monotona. Scuola, genitori, lezione, vasche in corso con gli amici. Se non la condisco con un po’ d’immaginazione non riesco ad affrontarla. Per questo vengo sul mare con Roberto. Ogni giorno, quando suona la campanella della ricreazione. Lo facciamo d’inverno, quando il libeccio e il ponente scuotono i vetri della nostra aula e non sarebbe prudente avventurarsi sul muro in granito della piazza sul mare. A maggior ragione ci andiamo ora che le giornate si fanno più dolci e il sole riscalda le ore del mattino. Marzo è il mese delle mimose, delle prime ginestre in fiore, la natura si risveglia e riscopre i colori. Il mare è calmo e in pace con il mondo. Riesce a parlare con tranquillità, scandisce bene le parole. Io lo comprendo, come un vecchio amico che confida gioie e dolori. Per questo le decisioni importanti vengo a prenderle insieme a lui, tra queste rocce di calcare che scendono a picco su barche e rumore di vento.
Il fumo delle lontane ciminiere si scorge in lontananza, proprio dove un vecchio cimitero di mare affoga ricordi e asciuga lacrime di rimpianti. L’acciaieria, dove il padre di Roberto va a farsi inghiottire ogni giorno, macina ancora delusioni e paure. Adesso il suo aspetto di mostro gigantesco mi fa abbassare lo sguardo.
Attenderò la notte per amarla, perché la preferisco come un bambino indifeso. E le asciugherò le lacrime che cadono dagli altiforni.
– Roberto, la senti la primavera nell’aria?
– Non me lo dire, non ho voglia di far niente. Non riesco a studiare. E la mamma mi sgrida. Apro il libro, lo richiudo, fingo di leggere. Ma penso solo a correre fuori con gli amici.
– Io a primavera sogno spesso una strada coperta di fiori e rami di ginestra. Vedo petali di rosa che sbocciano nel mare e l’infinito che mi accoglie. Stanotte c’eri anche tu nel mio sogno.
– Io? E perché mai?
– Perché questa primavera è anche nostra.
– Non ti comprendo. Oggi sei più complicata del solito.
– Da quanto tempo veniamo insieme su queste rocce per scambiarci i nostri pensieri?
– Non ricordo. È diventata un’abitudine. Prima o poi ci beccano, me lo sento. Allora ci toccherà smettere e stare nel corridoio come gli altri.
– Credo che dovremo smettere prima. E il nostro sogno non avrà il tempo di correre per le strade di questa primavera.
– Che vuoi dire?
– Devo partire, Roberto. Lo devo lasciare questo mare che si spalanca di fronte ai nostri occhi ogni giorno con un umore diverso. Non potrò più vedere la gigantesca acciaieria che mi fa provare tenerezza o paura. E non potrò più venire con te su queste scogliere. Mio padre dice che tutto questo mi farà diventare grande, ma intanto riesco solo a soffrire…
Roberto mi guarda e comprende. Il suo volto sorridente si è fatto serio, lascia trasparire la paura di perdere un sogno e di lasciare al vento questa primavera. Le scorribande proibite tra le scogliere, i sogni e le fantasie che raccontavo soltanto a lui che estasiato mi stava a sentire. La nostra unione perfetta e complice, mentre nei corridoi della scuola suonava la campanella della ricreazione. Roberto ha smesso di guardare i pescatori sulla punta del faro e di accarezzare lontani voli di gabbiani sulla costa. Adesso guarda soltanto me e tende una mano verso i capelli che scendono ondulati sulle spalle. Mi accarezza il viso solcato da lacrime. Si avvicina. Il nostro sogno diventerà primavera, questo è certo. Anche se potrà farlo soltanto per un breve istante.
Gordiano Lupi