Pan, dio della selva è un libro che parla della vita e del suo mistero. Perché la vita in ogni sua forma è sacra ed è proprio questo che il ‘nostro’ Pan rappresenta.
(James Hillman,* in una lettera all’autore, 1999)
Pan, dio della selva
Nell’ideale immutabile di una vita semplice, pastorale, contadina o selvatica, a stretto contatto con il mondo vegetale e quello animale, l’uomo – devitalizzato dalla frenesia dei contatti sociali, dalla venalità dei gesti professionali, dal vuoto morale dell’esistenza nelle città – ha sempre creduto di riscoprire la propria anima antica, la sacralità della propria missione terrena, la propria fratellanza con gli altri esseri. Così si torna – anche nell’epoca dei culti digitali, del circolo globale della Rete e della Telefonia Mobile, dei viaggi nell’Universo Simulato – al Pantheon degli antichi dèi e soprattutto al nume più vicino all’immagine reale del mondo e dell’uomo: Pan, il dio che Francesco Bacone identificò con la Natura stessa; il grande Pan con le sue leggi antiche, i suoi prodigi operati e perfezionati attraverso i cicli del tempo e i meccanismi evolutivi. Lo spirito di Pan e del suo corteggio sono lì, dove il loro corpo – il mondo fisico – è assente. Anzi, sono proprio l’assenza di Pan, la necessità di Pan e dei simboli contenuti nella sua fisicità che chiamano dal vacuum culturale e morale il viandante cerebrale, il pellegrino-utente che vaga nella ragnatela di incorporei spazi multidimensionali – ormai privo di punti di riferimento in un ambiente naturale che è minacciato dalle nuove energie distruttive – alla ricerca di un suo mistero perduto. Il mistero in cui l’essere mortale si riscopre indefinito e sperduto: un agglomerato di molecole e ipotesi in cerca di forma e senso. Le Ninfe (le parole), i satiri (i significati), Sileno (l’informazione), Apollo (la voce), Dioniso (la simbologia), la Grande Madre (l’arcano) e Pan (la sapienza) radunano e guidano verso l’eterna metamorfosi della realtà il gregge delle cose e delle creature viventi, impugnando scettri e bastoni pastorali, dettando l’armonia di ciò che è in esistenza e chiamando i dispersi con il fiato dei sacri strumenti musicali.
Ma questa umanità senza radici non percepisce che un’eco lontanissima, perché si è allontanata dall’ambiente delle origini e i simulacri di Pan e delle altre divinità che ha foggiato – a immagine virtuale del proprio ideale di sé – svilite nella loro inconoscibile maestà, non sono più rappresentativi del sacro. È un pantheon ricostruito a uso e consumo di cittadini stanchi della propria condotta di vita, delusi dalla mediocrità delle proprie leggi, incapaci di emozionarsi di fronte al prodotto delle proprie arti, paurosi solo davanti allo spettro della fine della propria illusione. Eh sì: siamo nell’Ellenismo Digitale. E allora andiamo, andiamo alla ricerca del mondo mitologico di Pan, il dio metà uomo e metà animale, che nasce e cresce prima della Storia. Gli artisti sciamani dell’età della pietra lo raffiguravano con rudimentali pennelli e bulini sulle pareti delle grandi grotte, da sempre e per sempre santuari naturali consacrati al nume capriforme dai popoli di montagna.
Signore degli animali, creatore itifallico di tutti gli esseri, Pan è identico agli egizi Ba-Neb-Djedet, Khnum e Ammone; al cananeo Baal; agli indiani Pasupati e Siva. Se le origini del dio si perdono nella notte della cultura umana, anche il vero significato del suo nome è un piccolo mistero. Venerato in Arcadia come Signore della selva e compagno della Grande Madre, Pan rappresenta il divino pastore che guida il ciclo della materia e l’evoluzione naturale della vita, secondo leggi assai spesso antitetiche a quelle che regolano la civiltà. Ecco perché appartengono alla liturgia del suo culto azioni che le norme morali dell’uomo civile condannano: ebbrezza, nudità, masturbazione, efebofilia, prostituzione sacra, sadomasochismo, esibizionismo, bestialismo. Poderoso archetipo presente negli abissi dell’inconscio umano, il dio può suscitare il panico (timore irragionevole che da lui prende il nome), la demenza, l’isteria, la follia. Invocato con Ecate da maghi e stregoni quale sentinella dei mondi inferi, Pan è anche il dio delle arti occulte ed è proprio questo suo aspetto che indusse i Cristiani ad attribuire le sue fattezze al diavolo. Solo la poesia e la musica possono parlare di Pan e della dimensione che scaturisce dal suo flauto prodigioso. Il fine della musica di Pan è quello di armonizzare l’universo e tutti gli esseri. Ma non solo quello, perché non bisogna dimenticare che oltre la musica di Pan – o meglio: prima e dopo il canto di Pan – c’è il grido di chi, invasato dal dio, apprende la prima parola della lingua divina. E non dice “madre” o “padre”. Emette un urlo che risuona agghiacciante come uno sfogo di follia alle orecchie di chi non è posseduto. I Greci chiamavano quell’urlo kraughé e lo ritenevano simile ora al verso del cane, ora a quello del corvo, ora a quello della capra. Una volta emesso quel suono, l’essere umano diventa Pan.
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* James Hillman (1926-2011) è stato uno psicoanalista, saggista e filosofo statunitense, autore dell’opera Saggio su Pan (1972).