La nostra storia patria non può dirsi generosa verso il PSI e i suoi leader. Con l'avvento del regime fascista le case del popolo, le sezioni, le cooperative e le redazioni vengono incendiate, espropriate o chiuse. Il Partito è spogliato delle sue sedi e delle sue proprietà collettive.
A Milano nel 1925 si spegne la direttrice della Critica Sociale, Anna Kuliscioff, grande intellettuale socialista-femminista di origine russa. È tra le fondatrici del PSI e dell'Internazionale Socialista delle Donne. Al nostro Paese ha fatto solo del bene, ricevendone in cambio anche la galera e la tubercolosi. Le onoranze di questa donna straordinaria vengono turbate da una squadra di fascisti che si scagliano contro le carrozze del corteo funebre.
La persecuzione continua in crescendo per due decenni. Innumerevoli i militanti e simpatizzanti vessati, bastonati, incarcerati, eliminati.
Tutti i capi socialisti d'anteguerra sono o morti in esilio o assassinati o atrocemente colpiti nei loro affetti più cari. Turati, Treves e Coccia finiscono i loro giorni in Francia. Giacomo Matteotti e i fratelli Rosselli vengono ammazzati brutalmente. Il fratello di Silone, Romolo Tranquilli crepa per le sevizie subite nella patria galera di Procida, dov'è ingiustamente incarcerato. Nenni perde la figlia Vittoria, deportata ad Auschwitz per avere diffuso dei volantini contro il regime. Il leader del Centro Interno, il filosofo Eugenio Colorni, che è anche co-autore del Manifesto di Ventotene, cade per mano di militi della Banda Koch.
Nondimeno, nel 1946 alle elezioni per la Costituente il PSI supera il 20% dei suffragi. È il secondo partito per numero di consensi. Ma l'Italia, a differenza degli altri paesi europei, non conoscerà l’alternanza di governo tra socialisti e democristiani. Tutto si blocca nella contrapposizione tra “filosovietici” sempre all'opposizione e “filoamericani” sempre al governo: contrapposizione insensata sul piano geopolitico, ma utilissima alla conservazione dell'assetto di potere interno.
Negli anni Cinquanta non si contano gli episodi di repressione antipopolare. Negli anni Sessanta dal Palazzo risuona il “rumore di sciabole”, crescono le minacce di golpe, inizia la strategia della tensione e delle stragi.
Negli anni Settanta riprendono i colpi d'artiglieria apertamente mirati sul quartier generale del PSI. Il segretario nazionale Mancini viene fatto oggetto di una violentissima campagna ad personam da parte della stampa neofascista. Nel 1977 è la volta del suo successore, Francesco De Martino, un mite professore di diritto romano che subisce il sequestro del figlio.
Alla guida del Partito c'è ora Bettino Craxi, l'unico che dopo l'uccisione di Aldo Moro possa raccoglierne il disegno strategico di superamento del bipolarismo imperfetto. Il suo governo, il primo a guida socialista, dà buona prova di sé. Tra il 1983 e il 1987 porta l'Italia fuori da una tremenda crisi, collocando il nostro paese a un livello di benessere e di sviluppo mai più raggiunti. Ma Ghino di Tacco passerà alla storia come la quintessenza della corruzione universale.
Beninteso, Craxi non è un santo. È un leader politico come tutti gli altri, che ben conoscono i metodi tramite cui i rispettivi partiti vengono finanziati. Ma solo su di lui si scatena una demonizzazione dai toni incredibili. Un’indagine condotta tra i giovani italiani sul finire degli anni Novanta mostra come Bettino Craxi venga considerato il più grande criminale del XX secolo (Hitler segue al terzo posto).
Frattanto, il suo predecessore Mancini (ottantenne) ritorna agli onori della cronaca, accusato di varie nefandezze. Riesce a dimostrare la propria innocenza prima di andarsene nel mondo dei più.
Silone, invece, è già trapassato da un pezzo quando la sua biografia viene riesumata, messa al rogo e riseppellita con gran spregio.
Ma qui la lista sarebbe incompleta senza il caso di un altro socialista abruzzese, Ottaviano Del Turco. L’ex leader confederale della CGIL subentra a Craxi nel 1993. In seguito Del Turco diverrà Ministro delle Finanze, presidente della Commissione parlamentare antimafia e infine Governatore della Regione Abruzzo.
Il 14 luglio 2008 viene prelevato dalla Guardia di Finanza per ordine della Procura di Pescara che a carico del Governatore proclama di avere in pugno “prove schiaccianti” in ordine ai reati di associazione per delinquere, truffa, corruzione e concussione.
Dopo lunghi mesi di galera e di arresti domiciliari, dopo tre anni e mezzo di gogna mediatica, il processo Del Turco sembra aver chiarito che le “prove schiaccianti” non ci sono e non ci sono mai state.
Resta l'amaro destino di un uomo «la cui storia di sindacalista e di politico era più che specchiata (...) e che forse ha pagato un prezzo proprio alla sua provenienza socialista», scrive Antonio Polito sul Corriere.
Il terremoto politico-istituzionale in Abruzzo lascia l'amaro in bocca anche all'ex presidente della Camera dei Deputati ed ex magistrato Luciano Violante, che pronuncia dure parole di vibrante protesta contro la “giuristocrazia”.
Che dire?
Dopo le dure parole di vibrante protesta contro la “partitocrazia” e la “cleptocrazia” che nei vent'anni della Seconda Repubblica hanno carezzevolmente accompagnato il decuplicarsi dei fenomeni di furto e di corruzione, si potrebbe ora anche paventare un decuplicarsi – dura lex – della “giuristocrazia”.
Scherzi a parte – e a prescindere dalla pur necessaria ponderazione tra importanti principi come la responsabilità civile dei magistrati che sbagliano e l'indipendenza della magistratura – il cold case socialista rimane aperto, più aperto che mai.
Perché, come disse Giovanni Moro, l'unica giustizia possibile, dopo tanti anni, sarebbe un po' di verità.
Andrea Ermano
(da L'Avvenire dei lavoratori, newsletter 5 febbraio 2012)