Quando varie associazioni femminili negli anni '70 raccolsero le firme per una legge di iniziativa popolare contro la violenza sessuale, il codice Rocco vigente chiamava quel reato “violenza carnale” e lo catalogava tra i reati “contro la morale”, non “contro la persona”. Dopo due legislature quella legge (che è l'unica vera forma di democrazia diretta prevista dal nostro ordinamento costituzionale) passò tra roventi polemiche e si collocò tra le migliori leggi europee in materia, perché non solo metteva il reato tra quelli “contro la persona” (che sono più gravi ovviamente), ma anche aboliva il delitto d'onore, il matrimonio riparatore e le indagini sulla moralità della vittima... Anche il marito poteva essere accusato di violenza sessuale, ma non passò la procedibilità d'ufficio, sicché dovendo una moglie o una figlia violentata in casa presentare querela e non semplicemente far avere notizia dell'accaduto alle forze dell'ordine, veniva immediatamente costretta a botte a ritirare la querela, e veniva denunciata per calunnia (procedibile d'ufficio). La legge continuò ad avere dei punti deboli a favore dei maschi e della famiglia. La considerammo comunque un grande passo avanti nella civiltà giuridica del nostro paese. E non accettammo che fossero aumentate le pene e indicammo invece processi di rieducazione di chi avesse scontato la pena o durante il tempo di essa, proprio perché era per noi più importante ottenere che la sessualità diventasse una scelta libera e non un compito legato al matrimonio sotto forma di “debito coniugale”, una delle locuzioni più tristi con cui si possa definire una pratica che tende al piacere. Tutto ciò incontrò una tenace resistenza tra i magistrati tradizionalisti, che sono ovviamente maschilisti e patriarcali. Nel complesso le cose migliorarono, almeno nel senso di non ammettere più che “le donne simulano” “seducono” “provocano”, insomma sempre la solita storia del povero Adamo sedotto da colei che viene popolarmente chiamata “porca Eva!”.
Tuttavia i reati di violenza sessuale sono ancora assai poco denunciati, rimanendo in vigore il pregiudizio che la vittima è invece colpevole e deve vergognarsi di ciò che le è capitato (“se stava a casa sua non le succedeva niente!”: dato e non concesso che una possa ritenersi sicura in casa e la sua sicurezza significhi reclusione domestica). Ma i problemi non affrontati non stanno fermi, trovano qualche strada per svolgersi: così la sessualità soprattutto minorile incontra modelli maschili violenti e ragazzine e persino bambine diventano “bulle”. Non è la soluzione che speravamo, ovviamente. Ma a ciò induce la sciagurata sentenza della Cassazione dichiarando che i colpevoli di stupro su una minore, appena raggiungono l'età nella quale possono essere mandati in galera, invece non ci vanno e questo vien considerato un cammino di riabilitazione per sé.
Nella preistoria, quando ero bambina io, i consigli che ricevevamo erano di non aver paura degli esibizionisti, solo ridergli in faccia; ma se invece ricevevamo attenzioni più insistenti, di non dare ginocchiate nei coglioni ai violenti fastidiosi, perché questo li faceva infuriare, ma di dargli una forte zuccata sul naso con un bel salto, perché il colpo sul naso è dolorosissimo, ma non dannoso e spesso produce sangue da naso e stato di confusione durante un tempo nel quale puoi scappare e metterti in salvo. Dobbiamo metterci a dare queste “lezioni”? Non so ma intanto qualche corso di autodifesa non guasterebbe, gli stupratori sono vigliacchi. E mentre ragazzine imparano a non aver paura né vergogna, noi adulte e ADULTI facciamo veementi proteste sui comportamenti sessuali selvaggi e barbari e schifate condanne verso chi stupra e contro una sentenza che è indizio di un pericoloso andazzo all'indietro. Manca adesso solo qualcuno che chieda il ripristino dei casini di stato: dopo tante liberalizzazioni, finalmente qualcosa di “pubblico” sul quale si possono mettere tasse, tanto pecunia non olet, il denaro non puzza...
Lidia Menapace