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Lega e PdL, come i ladri di Pisa 
La nota di Valter Vecellio
31 Gennaio 2012
   

Porto Tolle, provincia di Rovigo: la guerra interna in corso nella Lega porta all’autosospensione di 148 iscritti al Carroccio. Contemporaneamente l’ex ministro Roberto Maroni dà il suo appoggio alla lista autonoma del sindaco di Verona Flavio Tosi per le prossime elezioni comunali. In Polesine di fatto si è già consumato il divorzio tra le due 'anime' della Lega. A Porto Tolle il motivo della contesa è l’appoggio alla giunta: da un lato Antonello Contiero, bossiano doc, segretario provinciale del Carroccio ed ex candidato alla presidenza della provincia; dall'altro il suo vice Ivano Gibin, “maroniano”, vice-presidente del Consiglio provinciale e assessore ai lavori pubblici di Porto Tolle.

È l’ennesimo scontro. Dopo la scissione nel gruppo della Lega in consiglio comunale a Rovigo, Contiero commissaria la sezione di Porto Tolle, e intima al sindaco Silvano Finotti di revocare le deleghe a Gibin. Contiero toglie l’appoggio alla giunta, e impone a Gibin e alla consigliera Paola Sacchetto di passare all'opposizione; i due respingono l’intimazione al mittente e si autosospendono dal partito: loro e i loro sostenitori. «Onoreremo il patto elettorale» replica Gibin alla richiesta di Contiero di andare all'opposizione per far cadere la giunta PD-Lega-PSI e PDL «sino alla fine del mandato».

Porto Tolle, circa diecimila abitanti: alle ultime amministrative la Lega è passata dal 4 al 30 per cento, il sindaco di Verona Tosi in più di un’occasione si è schierato a fianco dei 'ribelli' polesani. È il paradigma di quello che accade un po’ ovunque, nel mondo leghista.

Tosi “benedice” i “ribelli del Polesine”; Roberto Maroni, a sua volta, “benedice” Tosi. Maroni la butta in politica: «Con questa manovra ultracentralista Monti ci ha messo due dita negli occhi, i berlusconiani l’hanno votata, e adesso ci vengono a chiedere accordi locali che convengono solo a loro: non si può. Tosi ha il dovere di ripresentarsi, e io concordo con la sua richiesta di correre con una sola lista politica, quella della Lega. Lui è un leghista autentico e vero. Forse per questo, perché è troppo bravo, lui ha dovuto subire attacchi personali anche dall’interno del movimento. Questo non è tollerabile. Lo dico io che ne so qualcosa».

Il “messaggio” è indirizzato in particolare a Bossi; ed è gara, adesso, a chi vellica di più gli umori della base. L’altro Roberto, quel Calderoli protagonista di mille pittoresche iniziative, e che si accredita tra i fedelissimi di Bossi, minaccia: «Se Berlusconi non stacca la spina a Monti, le nostre strade divise per sempre»; poi la butta là: «Berlusconi per le idi di marzo farà cadere il governo, ne sono convinto… Se non lo farà andremo alle amministrative da soli».

Le turbolenze della Lega non sono solo folclore. Un Umberto Bossi in sempre più evidente difficoltà spara che Silvio Berlusconi è «una mezza calzetta, ha paura», ennesimo attacco, dopo la minaccia di far cadere la giunta lombarda di Roberto Formigoni se il PDL non toglie il sostegno al governo Monti. Berlusconi fa sapere che le ragioni per appoggiare l’esecutivo di Monti «sussistono ancora». E si capisce: il leader del PdL vuole prima cercare di uscire in qualche modo dai processi che lo vedono imputato a Milano; inoltre quotidianamente gli vengono forniti i risultati dei sondaggi commissionati, che documentano come consenso e fiducia a lui personalmente e al partito, sono in picchiata. Il calcolo di Berlusconi è quello di cavalcare il malcontento delle categorie che si oppongono al programma di liberalizzazioni, ma senza staccare la spina. Bossi lo ha ben chiaro, e per questo alza la voce: da una parte guarda alla prossima tornata amministrativa di primavera, e spera di incassare parte del malcontento; dall’altra, come si fa in banca, chiede cento per avere cinquanta; e sono ancora tante le poltrone da “spartire”, da quelle della RAI a quelle negli enti di stato. Non mancheranno nei prossimi giorni nomine targate Lega. Sono come i ladri di Pisa, che di giorno litigano per poi la notte spartirsi meglio il bottino. C’è però una variabile. Berlusconi e Bossi sono, infine della stessa generazione; e i quaranta-cinquantenni scalpitano. Non solo Maroni; Enrico Letta mesi fa lo ha teorizzato: è il tempo degli Angelino Alfano, dei Maroni, dei Pierferdinando Casini e suo. Al di là del “colore” e dell’apparenza, il braccio di ferro che si giocherà e anzi già si gioca è questo.

 

Valter Vecellio

(da Notizie Radicali, 31 gennaio 2012)


 
 
 
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