La riflessione che ho svolto dopo la nostra iniziativa del 25 scorso sulla Memoria degli IMI, ha trovato una eco favorevole e vasta: forse è il caso che la completi con l'intera argomentazione che ho in testa. L'Anpi, del cui Comitato nazionale faccio parte, ha preso -nel corso dei suoi due ultimi congressi- la decisione di avviare una svolta che consiste nell'aprire le iscrizioni anche a chi per motivi anagrafici non ha preso parte alla Resistenza, in modo da mantenere l'Associazione anche dopo che ce ne saremo andati tutti e tutte quelli che c'erano. Non si tratta di una pratica notarile, bensì politica, che perciò chiede una valutazione di che cosa fu la Resistenza, e poiché per iscriversi all'Anpi è richiesta una dichiarazione di antifascismo, appunto che cosa fu e potrebbe cercar di essere ancora il fascismo. Questo è un primo punto.
Inoltre l'Anpi ritiene che dopo Berlusconi sia necessario svolgere un'opera di ricostruzione politica morale e culturale non inferiore -benché diversa- a quella intrapresa e condotta dopo la fine della seconda guerra mondiale. Sono molto d'accordo con queste enunciazioni, che chiedono dunque estrema, ma non piatta fedeltà alla Resistenza e alla Costituzione che ne derivò.
Sembra a me che il presidente Monti non abbia molto presente questo aspetto, sicché -ad esempio- sembra riferirsi più ai mercati che ai valori costituzionali, sembra prediligere una democrazia decisionista piuttosto che una partecipata. Insomma non si possono considerare pari gli scioperi dei lavoratori dipendenti, che hanno una copertura costituzionale e le serrate di altri lavoratori autonomi. Né i mercati e il lavoro: il lavoro definisce al primo articolo la nostra repubblica “democratica” e “fondata sul lavoro”. E anche l'articolo “europeista” prevede che cessioni di sovranità debbano essere reciproche, non unilaterali.
Torniamo alla Resistenza: ne è stata data spesso una immagine a mio parere parziale e contraddittoria. Sarà il caso di correggere e completare: orbene, oltre a chi ha ottenuto il riconoscimento di partigiano patriota ribelle, vi furono anche quei militari che furono deportati nei campi di concentramento nazisti con l'intento di ottenerne il consenso e l'adesione alla Repubblica sociale di Salò. Questo intendimento non fu raggiunto e gli IMI in grandissima misura rimasero nei campi a patire e a resistere senza deflettere. Fu una cosa importante, dato che pur nutrendoli pochissimo, il Reich dovette dar loro qualcosa da mangiare e impiegare militari per custodirli, e incassare ogni giorno all'appello il loro rifiuto; quelli tra loro che furono obbligati al lavoro coatto spesso sabotarono: insomma non fu nemmeno solo resistenza passiva. Si è trattato di più di 700.000 militari italiani catturati su tutti i fronti e provenienti da tutte le regioni, rappresentativi dell'intera popolazione nazionale. La Resistenza si svolse al nord, ma non fu una cosa settentrionale: anche tra quelli che andarono in montagna i meridionali non furono pochi: tra i militari che erano stanziati al nord vi erano meridionali che non obbedirono a Graziani, ma andarono in montagna: ad esempio i comandanti militari della Repubblica partigiana dell'Ossola erano i fratelli Di Dio, ufficiali di carriera nati ad Avellino e morti in battaglia contro i repubblichini per la libertà di noi tutti e tutte. Così come ci furono le quattro giornate di Napoli e gli scontri a porta San Paolo oltre gli altri episodi resistenziali a Roma, così vi furono scontri in Abruzzo ecc. Insomma se completiamo il quadro della Resistenza ripariamo a una parzialità della storiografia resistenziale e rispondiamo alle provocazioni negazioniste in corso: mi sembra una cosa giusta...
Lidia Menapace