L’espressione Media Education (che d’ora in poi abbrevieremo in ME) ha acquisito ormai il diritto di cittadinanza anche in Italia. È venuta ad indicare un’attività educativa e didattica della scuola (ma non solo della scuola) finalizzata a sviluppare negli alunni un’informazione e una comprensione critica circa la natura, il linguaggio, le categorie e i generi dei media, le tecniche da loro impiegate per costruire i messaggi e produrre senso. Vengono inoltre analizzati i condizionamenti che i media subiscono da parte di fattori economici, politici e ideologici, e l’impatto che essi hanno sul pubblico.
A partire dagli anni ’70 anche la scuola italiana incomincia a interessarsi in modo esplicito dell’educazione all’audiovisivo e ai media. Nel 1979 i nuovi programmi della scuola media assegnano lo studio dei media alle discipline Educazione tecnica ed Educazione artistica. I programmi fanno riferimento, ma non in modo sistematico, al cinema e ai mezzi di comunicazione di massa e di informazione (il giornale e la televisione). I programmi della scuola elementare del 1985 rivolgono un’attenzione più globale ai media. Viene proposta una nuova area d’intervento chiamata “educazione all’immagine” che si caratterizza per due tipi di attività: quelle espressivo-creative e quelle fruitivo-critiche. Finalmente gli Orientamenti dell’attività educativa nella scuola materna del 1991, riconoscono nei media moderni un «campo di esperienza del bambino».
Nella scuola italiana la ME ha sofferto di tre grandi limitazioni:
non sistematicità: l’educazione ai media nella scuola è finora avvenuta più per l’entusiasmo e la buona volontà di qualche insegnante, piuttosto che essere frutto di una programmazione ragionata e condivisa;
non organicità degli interventi: si è trattato prevalentemente di interventi occasionali e a sé stanti, piuttosto che di un piano complessivo e organico;
scarsa interdisciplinarità: gli interventi non hanno coinvolto il collegio dei docenti e i consigli di classe. È mancata l’idea di curricolo scolastico applicata allo studio e alla pratica dei media.
Ha invece ottenuto un pregevole successo il piano triennale (1997-2000) per l’introduzione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Perché la ME nella scuola?
Un primo motivo è il grande spazio che i media occupano nella vita dei giovani.
In secondo luogo, i media sono un’autentica “industria delle coscienze”. Non sono neutrali. Impongono stili di vita e pratiche di consumo. Molto di quello che i nostri giovani sono e pensano, e come si comportano, è dovuto alla cultura dei mass media.
I media sono inoltre una potente “fabbrica delle notizie”. Chi e per quali interessi i media acquisiscono, selezionano, diffondono le informazioni? Non finiranno forse per condizionare gli stessi processi democratici? La scuola deve saper rispondere a queste domande.
Non c’è democrazia senza partecipazione, non c’è cittadinanza attiva senza formazione, non c’è formazione senza informazione, cultura, consapevolezza critica. Se vogliamo che i media servano la vita democratica di un paese, dobbiamo partire da un approccio democratico ed educativo ai media. La scuola è quindi necessaria.
Una ultima motivazione sta nella crescente digitalizzazione: nella raccolta, conservazione e trasmissione delle informazioni e nella convergenza di tutti i media nel computer. Internet e le nuove tecnologie della comunicazione si sovrappongono ormai alla scuola tradizionale.
Come insegnarla?
1. Le attività di analisi e di produzione (lavoro pratico) dovranno procedere di pari passo. La figura dell’insegnante, o del Media educator con il ruolo del “facilitatore” dell’apprendimento e dell’animatore della classe, rimane centrale ed è la garanzia del successo della ME nella scuola.
2. La ME dovrà conservare uno stile educativo democratico e non impositivo, fatto di partecipazione e di “scambio generazionale”.
3. Se scopo della ME è il conseguimento dell’autonomia critica, è chiaro che tali obiettivi potranno essere raggiunti solo sul lungo periodo: la scuola potrebbe perciò divenire il luogo più adatto.
4. Dato che un aspetto nuovo per la scuola è il suo rapporto con la multimedialià, l’apprendimento delle nuove tecnologie non potrà sostituire ma semmai affiancare i media tradizionali.
Chi può insegnarla?
Le attività di ME potrebbero essere affidate agli stessi insegnanti presenti nella scuola, possibilmente a un gruppo di docenti adeguatamente formati, oppure si potrà fare ricorso a un esperto esterno. Non pare però necessario configurare una nuova materia scolastica: sembra più utile predisporre un insegnamento interdisciplinare il cui regista sarà l’insegnante, un gruppo di docenti o il Media-educator. La scuola dell’autonomia potrà richiedere nuovi ruoli e nuove competenze soprattutto nel campo finora inedito della ME? Una nuova figura professionale nella scuola italiana può essere identificata nel Media-educator? Sembra significativo il fatto che le Università italiane si stanno aprendo non solo alla comunicazione e ai media in generale, ma anche a curricoli e specializzazioni a livello di master proprio nel campo della ME. A seguito della formazione data in sede accademica, sarà più facile chiedere collaborazioni ai futuri media educators e identificare per loro uno spazio sia nella scuola che nell’extrascuola.
La proposta del MED
Nell’anno 2003 il MED, quando in Italia si stava pensando alla riforma dei curricola scolastici, inviò all’allora Ministro della pubblica istruzione alcune idee sulla ME e su un suo possibile inserimento all’interno della scuola. Eccole in sintesi.
1) La ME è oggi in Italia una realtà emergente ma già ampiamente consolidata, che rappresenta un indicatore delle nuove frontiere dell'educazione, in particolare in ambito scolastico. Lo dimostra il moltiplicarsi di iniziative della scuola e dell'università: dai corsi di formazione e qualificazione ai corsi di perfezionamento, dai master alle lauree specialistiche.
2) La proposta didattica di una scuola moderna si allarga e si estende verso la “quarta dimensione” rappresentata dalla competenza mediale. Lo spazio dell'autonomia scolastica rappresenta un'opportunità privilegiata per realizzare percorsi di ME.
3) Il rischio che la scuola moderna corre è di proporre un approccio ai media episodico, frammentario e non scientificamente fondato.
4) Il Media Educator si propone come una nuova figura professionale la cui formazione è curata e certificata dalle Facoltà di Scienze della Formazione e Scienze della comunicazione dell'Università italiana.
5) Sarebbe opportuna l'istituzione presso il Ministero di un tavolo di confronto sulla ME con il compito di monitorare le esperienze e valutare i percorsi.
Purtroppo queste proposte non furono prese in considerazione e nelle “indicazioni nazionali” che attuarono la Legge del 28 marzo 2003, n.53:
- il rapporto media-educazione viene considerato secondo una visione prevalentemente strumentale. I media servono come sussidio (stampato, audiovisivo o informatico) per raggiungere obiettivi “altri” (quelli specifici delle singole discipline);
- viene data una netta preferenza alle nuove tecnologie. I vecchi media (stampa e mass media), che pure sono una parte fondamentale del vissuto dei ragazzi (la tv soprattutto), non compaiono se non in modo strumentale. La competenza mediale dovrebbe inoltre riguardare tutto il sistema dei media: dal cinema, ai giornali, alla radio, alla tv, ad Internet;
- nell’esame dei documenti del Ministero dell’educazione (MIUR) si nota l’assenza della componente della media education, mentre questa era già entrata nelle università italiane da alcuni anni sotto forma di corsi specifici o master.
Nulla vieta, per concludere questo lungo (e spero non noioso) articolo, che oggi le singole istituzioni scolastiche, sostenute anche dall’interesse degli insegnanti, possano comunque trovare autonomamente al loro interno risorse e spazi per la Media Education.
Luca Vitali