A grande richiesta, riproponiamo in Prima questa bella scheda con relativa citazione già pubblicate qui ad inizio 2012. Sembra infatti, a distanza di un paio di secoli dalla loro stesura, che conservino intatta la loro attualità – uno per uno, davvero ciascuno – gli aforismi della baronessa Marie von Ebner-Eschenbach. Ai più attenti lettori del nostro giornale una rinfrescatina, in ogni caso, non potrà certo recar danno. (la Direzione Tf)
20 gennaio 2012 – La baronessa Marie von Ebner-Eschenbach (1830-1916) non fu certo né una rivoluzionaria, né una femminista arrabbiata, ma una nobildonna morava appassionata di letteratura che seppe analizzare con arguzia il mondo delle donne di tutte le classi sociali e con tenacia encomiabile riuscì ad imporsi in un ambiente che alle sue ambizioni di scrittrice aveva guardato a lungo come a un’innocua stravaganza.
Tipica figlia del mondo asburgico, Marie fu l’incarnazione di quell’amalgama slavo-germanico-romanzo di cui constava l’impero danubiano: seconda figlia di un conte ceco e di una baronessa sassone, Marie crebbe in un ambiente multilingue e multiculturale. Di madrelingua ceca, iniziò a scrivere in giovanissima età, prima in francese (appreso dalle governanti) e poi in tedesco, scelto alla fine come lingua della creatività letteraria.
Convinta che il teatro fosse il genere a lei più congeniale, la scrittrice si cimentò inizialmente nella stesura di una serie di drammi, che non trovarono però il consenso del pubblico. Al successo arrivò invece, benché tardi, come autrice di racconti in cui a dominare sono i rapporti fra mondo aristocratico e mondo contadino, sottoposti a una revisione radicale dopo il 1848. L’antologia di prose con cui Marie si impose a oltre cinquant’anni sulla scena letteraria, si intitola non a caso Dorf- und Schloßgeschichten [Storie del villaggio e del castello]. Pubblicata nel 1883 e resa accessibile al pubblico italiano ormai quasi vent’anni fa da una mia traduzione,* la raccolta si nutre dell’esperienza concreta della narratrice che, nata nel castello di Zsdilawitz (Zdislavice) in Moravia, divise l’intera vita fra la tenuta di campagna e Vienna.
Sposatasi nel 1848 - l’anno in cui Francesco Giuseppe, suo coetaneo, salì al trono - con un cugino barone, professore di chimica e fisica all’Accademia Militare, Marie ebbe un lungo e felice matrimonio, movimentato da numerosi spostamenti, che restò privo di figli. Nonostante questa vita in tutto fortunata, la Ebner-Eschenbach non fu insensibile al cambiamento dei suoi tempi e si propose con la sua opera di scuotere dalla letargia la classe nobiliare a cui apparteneva, invitandola a rinunciare a privilegi e retaggi feudali e a trattare senza alterigia i subalterni, dei cui diritti si fece paladina, propugnando, al posto della nobiltà del sangue, quella dello spirito.
La prosa di Marie von Ebner-Eschenbach è concisa, essenziale, non indugia sul particolare e alterna la tipica causerie salottiera dell’Ottocento a quadri realistici di vita campagnola, senza cedere alla divagazione, ma puntando invece alla massima condensazione. A questa particolare stringatezza formale la scrittrice pervenne negli anni anche grazie alla passione con cui si dedicò a un genere particolarmente compatto e raramente coltivato dalle donne: l’aforisma. E qui davvero eccelse, come dovettero ammettere anche i suoi detrattori che tentarono di liquidarla, non senza una certa sicumera, come “la poetessa della bontà”. Gli aforismi della Ebner-Eschenbach dimostrano invece quanto riduttiva sia questa etichetta. Per questa ragione desidero proporre qui, nella mia traduzione, un piccolo saggio di questi motti, fulminanti nella loro laconicità:
Quando una donna imparò a leggere, entrò nel mondo la questione femminile.
Una donna in gamba ha milioni di nemici innati: tutti gli uomini stupidi.
Dove sarebbe il potere delle donne se non ci fosse la vanità degli uomini?
Grandezza è vedere senza invidia altri raggiungere successi a cui si aspira in prima persona.
Da una mano che non desideriamo stringere è meglio essere picchiati che accarezzati.
Avere e non dare è in alcuni casi peggio che rubare.
Guardati dalla virtù che un uomo si vanta da sé di possedere.
Puoi cadere in basso a tale velocità da credere di volare.
Dove comincia la vanità finisce l’intelletto.
Dov’è di casa il cattivo gusto, lì abita sempre anche un po’ di rozzezza.
Ci vuole meno coraggio ad essere l’unico che rimprovera che ad essere l’unico che loda.
Noi sottovalutiamo quel che abbiamo e sopravvalutiamo quello che siamo.
Diffida del tuo giudizio non appena puoi scorgervi l’ombra di un motivo personale.
Umano disprezzo - una corazza foderata di aculei.
Nulla impariamo tanto tardi e disimpariamo tanto presto, quanto ad ammettere di aver torto.
Si farebbe ben poco male al mondo, se il male non fosse mai fatto in nome del bene.
La fiducia reciproca è più importante della reciproca comprensione.
Un vero amico contribuisce alla nostra felicità più di mille nemici alla nostra infelicità.
Un uomo fiero pretende da sé la straordinarietà, un presuntuoso se la attribuisce.