Riassunto di un interessante articolo apparso sulla rivista Vita e pensiero, n. 2/2011, a firma di Fausto Colombo, dal titolo “Come i social media aiutano le democrazie”.
Nel caso delle democrazie i social media (come Youtube, Facebook, Google e i blog) costituiscono essenzialmente un ambiente di circolazione di idee e informazioni che si affianca ad altri media già legittimati (stampa, televisione, cinema, radio…) portando nuove opportunità partecipative. Nel caso dei paesi non democratici invece creano una sorta di circolazione culturale clandestina o, nei casi migliori (vedi ad esempio la “Primavera araba”), contribuiscono sia a far conoscere al mondo quello che succede realmente sia a organizzare e connettere le persone con l’obiettivo concreto di trasformare la società in senso democratico.
Gli antesignani dei social media, dal punto di vista dell’impatto politico, sono da ricercare nell’Europa settecentesca dei giornali, dei salotti e dei caffè: luoghi nei quali la borghesia aveva modo di mettere a fuoco le proprie richieste di una nuova partecipazione politica, dopo la stagione degli assolutismi. Il Novecento, epoca caratterizzata da un lato dal ruolo delle grandi masse nella politica, dall’altro dal trionfo dei grandi media centralizzati come la radio e la televisione, ha fatto passare in secondo piano il ruolo della discussione nei piccoli gruppi. I grandi partiti hanno messo a punto strumenti idonei alla trasmissione delle ideologie attraverso le sezioni, i circoli, le proprie testate, le attività culturali di vario genere. Esauritasi questa fase è stato proprio lo sviluppo di internet a riportare in vita le funzioni dei salotti e dei caffè.
In Italia lo sviluppo delle reti civiche promosse dalle pubbliche amministrazioni e frequentate dai cittadini desiderosi di dibattere e partecipare alla vita pubblica, comincia a manifestarsi con successo negli anni ’80, durante la crisi latente dei partiti istituzionali, ed esplode negli anni ’90. Negli ultimi anni è il cosiddetto “web 2.0” a rendere diffuse e utilizzabili da tutti le potenzialità politiche della rete, come ritorno a un modello partecipativo: questo in controtendenza rispetto alla passività richiesta dalle democrazie occidentali, per le quali è più utile che il cittadino si limiti soltanto a votare, delegando tutto il resto ai partiti politici.
I social media portano attualmente con sé alcuni rischi molto concreti:
- la polarizzazione delle opinioni e la tendenza al rifiuto sistematico, portato fino all’insulto, per le persone portatrici di opinioni diverse dalle proprie;
- la dipendenza dai grandi media tradizionali per l’approvvigionamento di notizie, che consiste perlopiù nella rimessa in circolo di articoli di giornale, di trasmissioni televisive, creando così un’omologazione invece che un pensiero originale;
- i rapporti distorti con il potere politico ed economico. Questi poteri possono condizionarne l’attività, sia facendo oscurare l’intera rete, sia stipulando accordi specifici con le aziende titolari delle piattaforme (succede ad esempio in Cina, Iran, Libia), sia producendo disinformazione o notizie false, sia controllando le attività degli utenti sulla rete.
D’altro lato le informazioni presenti sui social media sono fonti che sia i media tradizionali che i poteri economici e politici non possono ignorare. In quanto mezzi orizzontali, i social media garantiscono inoltre la miglior integrazione possibile tra la circolazione delle idee e la riuscita organizzativa di vere e proprie azioni politiche. Infine, in quanto creatori di identità e di appartenenza possono diventare strumenti assai forti di cambiamento politico e sociale.
I social media possono essere eccellenti strumenti di democrazia dove vi siano le condizioni per una buona politica: senza senso delle istituzioni, coscienza civile e disponibilità partecipativa la democrazia tace o addirittura muore. In questo caso neppure i social media potranno salvarla.
Luca Vitali