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Gianfranco Cercone. “Le Idi di marzo” di George Clooney: idealismo e denuncia
05 Gennaio 2012
 

Il “sogno americano” prevede, come è noto, che ogni cittadino, se dotato di talento, di determinazione e di spirito di sacrificio, possa salire dai più bassi ai più alti gradini della scala sociale. C’è chi dubita che anche negli Stati Uniti sia davvero tuttora disponibile a chiunque una simile opportunità. Ma nel cinema americano questo ideale condiziona in modo sottile e originale le relazioni tra i personaggi di tanti film.

Non voglio dire che prevalga fra loro un sentimento di uguaglianza, perché anzi spesso le differenze sociali sono molto nette e vengono anche fatte crudelmente pesare. Ma la possibilità che l’umile possa diventare potente, o che il potente possa essere degradato, è latente nella coscienza dei personaggi e suscita atteggiamenti non sempre positivi ed edificanti: l’attenta valutazione delle capacità e della forza dell’altro; il senso della rivalità e della competizione; l’ambizione, la più nobile ma anche la più spietata, alimentata dalla possibilità concreta di essere soddisfatta.

Queste tensioni sono ben presenti nel film diretto e interpretato da George Clooney Le Idi di marzo. Si parla della campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti, e più precisamente delle primarie nello Stato dell’Ohio. I personaggi principali sono un candidato dei Democratici, e il suo giovane e a quanto pare geniale addetto stampa.

Entrambi, in un primo momento, ci appaiono dotati di un incrollabile idealismo. Il candidato dei Democratici afferma che la sua religione è soltanto la Costituzione degli Stati Uniti; difende la laicità dello Stato; è contro la pena di morte; è un ecologista; ed è favore del matrimonio omosessuale. E si rifiuta di promettere una poltrona a un senatore che non stima, in cambio del suo appoggio alle elezioni.

Quanto all’addetto stampa dichiara, e c’è da credergli, che non presterebbe mai le sue brillanti capacità a sostegno di un candidato in cui non credesse. Come potete indovinare, queste nobili intenzioni saranno tradite da entrambi i personaggi nel corso del film. E perché?

Ebbene nel film di Clooney si nasconde in effetti un sermone. Un sermone pessimista che predica che il Male in questo mondo è più forte del bene. E il Male si esprime nella concupiscenza e nell’avidità: dove l’avidità è il desiderio del potere per il potere; o il desiderio di conquistare con ogni mezzo un posto di lavoro prestigioso e ben remunerato.

Non entro nei particolari. Osservo però che, come accade ai sermoni quando si trasformano in un racconto, la morale – e cioè: quello che il sermone vuole dimostrare – forza e semplifica lo studio dei personaggi. Che il cinismo possa consumare gli ideali, lo si constata spesso. Ma che, se quegli ideali sono sinceri, li possa consumare così rapidamente, quasi senza esitazioni interiori – questo è più difficile crederlo.

Comunque, il film di Clooney si avvale di un cast di buoni e a volte di ottimi attori – tra i quali lui stesso. E la descrizione degli ambienti, delle scene collettive – come dei dibattiti televisivi o delle convenzioni elettorali – risulta, almeno ad occhi profani, accurata e convincente.

Segnalo il film perché riunisce due aspetti ricorrenti del cinema americano di ispirazione “civile”: la denuncia della corruzione da un lato; e dall’altro un idealismo, ispirato ai principi fondatori degli Stati Uniti, che non viene meno nonostante la constatazione non edulcorata di quella corruzione.

 

Gianfranco Cercone

(da Notizie Radicali, 5 gennaio 2012)


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