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Gianfranco Cordì. «La fine della modernità» e l’inizio del pensiero «dell’erranza»
28 Dicembre 2011
 

Un libro sulla «messa in chiaro del rapporto che lega gli esiti della riflessione di Nietzsche e di Heidegger, a cui costantemente si richiama, con i discorsi, più recenti, sulla fine dell’epoca moderna e sulla post-modernità»; un libro, dunque, che vorrebbe essere un analisi obiettiva e rigorosa sulle origini filosofiche del post-moderno ma che si riduce invece ad essere, esso stesso, un libro niente affatto post-moderno. Questo La fine della modernità (Garzanti, 2011) di Gianni Vattimo rappresenta soprattutto, appunto, questa situazione particolare: un libro sul post-moderno che non è post-moderno. Il volume, infatti, si dipana come un saggio di storia della filosofia, potremmo dire di impronta classica e quindi moderna. Alla ricerca delle origini di un fenomeno caratteristico della società occidentale e della sua cultura, Vattimo vi giunge attraverso l’elaborazione di pensieri determinati propri di due filosofi emblematici della modernità (come detto: Nietzsche ed Heidegger) visti attraverso il loro corto-circuito o brillamento con alcuni momenti precisi della storia dell’ovest mondiale. Lungo il corso del volume vengono, infatti, analizzate le relazioni intercorrenti tra le teorizzazioni dei due filosofi tedeschi e i concetti di «nichilismo», «umanismo», «verità dell’arte» ed «ermeneutica».

Vattimo rimane sempre molto sorvegliato e puntuale nelle sue disamine ma il libro, alla fine, non può che rimarcare l’effetto di paradosso che si è indicato nelle righe precedenti. È il senso di tutta l’operazione che pare, in questo caso, abbastanza debole e incompiuto: c’è bisogno di un libro moderno per giustificare il post-moderno. Oppure: il post-moderno non riesce ad estrinsecarsi attraverso realizzazioni post-moderne. Cioè: il moderno influenza ancora il post-moderno (che dovrebbe sancirne la sua «fine»); oppure: il post-moderno non riesce ad essere pienamente tale: un’entità con proprie connotazioni e caratteristiche che la contrassegnano in maniera distinta. Tutti dubbi abbastanza giustificati che connotano questo testo di Vattimo di un atmosfera marcata da un certo qual disorientamento. Eppure il filosofo di Torino ad alcuni di questi interrogativi tenta di rispondere. Il volume infatti inizia investigando il concetto di «fondamento». Ma dobbiamo partire dalla nozione di «modernità» per come è vista da Nietzsche e Heidegger. Scrive a questo proposito Vattimo: «dal punto di vista… di Nietzcshe e Heidegger, la modernità si può caratterizzare infatti come dominata dall’idea della storia del pensiero come progressiva “illuminazione”, che si sviluppa in base alla sempre più piena appropriazione e riappropriazione dei “fondamenti” - i quali spesso sono pensati anche come le “origini”, di modo che le rivoluzioni, teoriche e pratiche, della storia occidentale si presentano e si legittimano per lo più come “ricuperi”, rinascite, ritorni». A fronte di questa situazione ecco nascere la nuova temperie culturale, inaugurata appunto dagli stessi Nietzsche ed Heidegger. Ascoltiamo ancora Vattimo: «la nozione di “superamento”… concepisce il corso del pensiero come uno sviluppo progressivo in cui il nuovo si identifica con il valore attraverso la mediazione del recupero e della appropriazione del fondamento-origine. Ma proprio la nozione di fondamento, e di pensiero come fondazione e accesso al fondamento, viene radicalmente messa in discussione da Nietzsche ed Heidegger. Essi si trovano così nella condizione, da un lato, di dover prendere le distanze criticamente dal pensiero occidentale in quanto pensiero del fondamento; dall’altro lato, però, non possono criticare questo pensiero in nome di un'altra, più vera, fondazione. È in questo che, a buon diritto, possono considerarsi i filosofi della post-modernità». Questa nostra tanto agognata post-modernità si riempie dunque di qualche contenuto. Non è più una scatola vuota. Apprendiamo che in essa il concetto di «fondamento» non c’è più. E che, sempre in essa: non si può più parlare di «superamento» e nemmeno di «sviluppo progressivo». Da cosa sarà dunque contrassegnato questo pensiero che, fin da subito, «si caratterizza non solo come novità rispetto al moderno, ma anche come dissoluzione della categoria del nuovo, come esperienza di “fine della storia” piuttosto che come presentarsi di uno stato diverso, più progredito o più regredito, non importa, della storia stessa»? Risponde lo stesso Vattimo ad un certo punto del suo libro: «un discorso sul postmoderno in filosofia… deve farsi guidare, credo, da un termine introdotto in filosofia da Heidegger, quello di Verwindung. Verwindung è la parola che Heidegger usa… per indicare qualcosa che è analogo alla Uebewindug, il superamento o oltrepassamento, ma che se ne distingue perché non ha nulla della Aufhebung dialettica, né del “lasciarsi alle spalle” che caratterista il rapporto con il passato che non ha più nulla da dirci. Ora, proprio la differenza fra Verwindung e Ueberwindung è per l’appunto ciò che può aiutarci a definire il “post” del postmoderno in termini filosofici». Il termine Verwindung, dunque, «indica un oltrepassa mento che ha in sé i tratti dell’accettazione e dell’approfondimento». Non di «superamento» si deve perciò parlare nel post-moderno, ma di «oltrepassamento». Questo è lo specifico contributo che Heidegger e Nietzsche forniscono alla definizione di post-moderno che stiamo ancora cercando.

Siamo in presenza adesso di una nuova considerazione delle cose di tipo conservativo («accettazione») e analitico («approfondimento»). Ovvero ci troviamo dinanzi ad un pensiero che scava in profondità rivelando aspetti distinti della realtà e che lo fa all’interno di una manovra che privilegia ancora il passato, o meglio, come dice lo stesso Gianni Vattimo - interpretando stavolta Nietzsche - siamo alle prese con «il divenire di formazioni spirituali la cui sola regola è una certa continuità storica, senza alcun rapporto a una qualche verità fondamentale». Il post-moderno - gesto o atteggiamento di «oltrepassamento» del moderno - si preannuncia dunque come qualcosa di esclusivo, di determinato, di particolare, che possiede «una certa continuità storica» con il passato e che presuppone un cambiamento di prospettiva, di occhio, di impostazione. Non si tratta di un momento «ulteriore» rispetto al moderno ma di qualcosa di «diverso» da esso. Quali sono, all’interno di questa definizione, le componenti principali del post-moderno? Vattimo ci informa che esso è «un pensiero della fruizione», «un pensiero della contaminazione» e «un pensiero del Ge-Stell». In quest’ultima frase per Ge-Stell è da intendersi: «l’universale imposizione e provocazione del mondo tecnico». A questo tratti identificativi del post-moderno sono da aggiungersi anche i seguenti altri: «il pensiero non più orientato sull’origine o il fondamento, ma sulla prossimità» e «un pensiero dell’errore, o meglio ancora dell’erranza, per sottolineare che non si tratta di pensare il non-vero, ma di guardare al divenire delle costruzioni “false” della metafisica, della morale, della religione, dell’arte - tutto quel tessuto di ornamenti che soli costituiscono la ricchezza o, più semplicemente, l’essere della realtà». Il post-moderno è perciò una specie di acquario nel quale tutta la vita è esposta ed immediatamente presente ma nello stesso tempo si trova ad essere aleatoria, libera, casuale e contingente. Un acquario in cui regnano sovrani «i tratti dell’esistenza nella società tardo-capitalistica, dalla mercificazione totalizzata in “simulacrizzazione” al conseguente esaurimento della “critica dell’ideologia”, alla “scoperta” lacaniana del simbolico». L’operazione genealogica compiuta da Vattimo si è servita dunque del concetto di «oltrepassamento» (rinvenuto in Nietzsche ed Heidegger) per transitare in un luogo dove ogni cosa sembra adesso più difficile da reperire, dove mancano del tutto i punti fermi e all’interno del quale «nella pratica storiografica e nella sua autoconsapevolezza metodologica l’idea di una storia come processo unitario si dissolve, e nell’esistenza concreta si instaurano condizioni effettive - non solo l’incombere della catastrofe atomica, ma anche e soprattutto la tecnica e il sistema dell’informazione - che le conferiscono una sorta di immobilità realmente non-storia». Vattimo, insomma, si serve di un concetto soffice per sistematizzare il proprio oggetto di studio. Soffice perché il concetto di «oltrepassamento» è certamente lontano dalle rigidità del concetto di «superamento» che si lasciava sempre alle spalle qualcosa in maniera definitiva. Qui invece tutto è più sfumato, leggero, transitorio. Ma non solo. L’autore de Le avventure della differenza, rintracciando il proprio elemento-chiave nelle filosofie di Nietzsche ed Heidegger, si pone in perfetta continuità con essi. Egli stesso dice: «solo dalla messa in rapporto con la problematica nietzscheana dell’eterno ritorno e con quella heideggeriana dell’oltrepassamento della metafisica… le sparse e non sempre coerenti teorizzazioni del post-moderno acquistano vigore e dignità filosofica». Il suo scopo è dunque raggiunto: grazie al pensiero di due filosofi del passato il post-moderno è diventato una filosofia. L’unico problema è proprio che Nietzsche ed Hiedegger legittimano il post-moderno attraverso la loro messa in luce della mancanza di legittimità del «fondamento» e non offrendo un ulteriore «fondamento» che possa legittimare ogni cosa. Questo «fondamento» lo trova invece Vattimo nel concetto di «oltrepassamento». Egli si rivela così assai poco post-moderno in un operazione che riesce a restituire «dignità filosofica» al proprio oggetto. In parole povere: il post-moderno diventa pensiero ma si snatura del suo essere.

Al di là di questo esito singolare del fenomeno indagato in questo libro, alla fine della lettura ci troviamo di fronte, comunque, ad una disamina ferrea e ben orchestrata che vale gli 11 euro del prezzo di copertina e che ci consegna un aggiornamento teorico abbastanza interessante. Il post-moderno infatti «ricerca appunto ciò che Nietzsche e Heidegger hanno cercato nel loro peculiare rapporto “critico” verso il pensiero occidentale». Una concezione che ritorna. Un’idea che non è mai morta. Un pensiero ancora attuale. Tante cose su cui riflettere e meditare.

 

Gianfranco Cordì


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