Giovedì , 21 Novembre 2024
VIGNETTA della SETTIMANA
Esercente l'attività editoriale
Realizzazione ed housing
BLOG
MACROLIBRARSI.IT
RICERCA
SU TUTTO IL SITO
TellusFolio > Critica della cultura > Lo scaffale di Tellus
 
Share on Facebook Share on Twitter Share on Linkedin Delicious
Gianfranco Cordì. «La fine della modernità» e l’inizio del pensiero «dell’erranza»
28 Dicembre 2011
 

Un libro sulla «messa in chiaro del rapporto che lega gli esiti della riflessione di Nietzsche e di Heidegger, a cui costantemente si richiama, con i discorsi, più recenti, sulla fine dell’epoca moderna e sulla post-modernità»; un libro, dunque, che vorrebbe essere un analisi obiettiva e rigorosa sulle origini filosofiche del post-moderno ma che si riduce invece ad essere, esso stesso, un libro niente affatto post-moderno. Questo La fine della modernità (Garzanti, 2011) di Gianni Vattimo rappresenta soprattutto, appunto, questa situazione particolare: un libro sul post-moderno che non è post-moderno. Il volume, infatti, si dipana come un saggio di storia della filosofia, potremmo dire di impronta classica e quindi moderna. Alla ricerca delle origini di un fenomeno caratteristico della società occidentale e della sua cultura, Vattimo vi giunge attraverso l’elaborazione di pensieri determinati propri di due filosofi emblematici della modernità (come detto: Nietzsche ed Heidegger) visti attraverso il loro corto-circuito o brillamento con alcuni momenti precisi della storia dell’ovest mondiale. Lungo il corso del volume vengono, infatti, analizzate le relazioni intercorrenti tra le teorizzazioni dei due filosofi tedeschi e i concetti di «nichilismo», «umanismo», «verità dell’arte» ed «ermeneutica».

Vattimo rimane sempre molto sorvegliato e puntuale nelle sue disamine ma il libro, alla fine, non può che rimarcare l’effetto di paradosso che si è indicato nelle righe precedenti. È il senso di tutta l’operazione che pare, in questo caso, abbastanza debole e incompiuto: c’è bisogno di un libro moderno per giustificare il post-moderno. Oppure: il post-moderno non riesce ad estrinsecarsi attraverso realizzazioni post-moderne. Cioè: il moderno influenza ancora il post-moderno (che dovrebbe sancirne la sua «fine»); oppure: il post-moderno non riesce ad essere pienamente tale: un’entità con proprie connotazioni e caratteristiche che la contrassegnano in maniera distinta. Tutti dubbi abbastanza giustificati che connotano questo testo di Vattimo di un atmosfera marcata da un certo qual disorientamento. Eppure il filosofo di Torino ad alcuni di questi interrogativi tenta di rispondere. Il volume infatti inizia investigando il concetto di «fondamento». Ma dobbiamo partire dalla nozione di «modernità» per come è vista da Nietzsche e Heidegger. Scrive a questo proposito Vattimo: «dal punto di vista… di Nietzcshe e Heidegger, la modernità si può caratterizzare infatti come dominata dall’idea della storia del pensiero come progressiva “illuminazione”, che si sviluppa in base alla sempre più piena appropriazione e riappropriazione dei “fondamenti” - i quali spesso sono pensati anche come le “origini”, di modo che le rivoluzioni, teoriche e pratiche, della storia occidentale si presentano e si legittimano per lo più come “ricuperi”, rinascite, ritorni». A fronte di questa situazione ecco nascere la nuova temperie culturale, inaugurata appunto dagli stessi Nietzsche ed Heidegger. Ascoltiamo ancora Vattimo: «la nozione di “superamento”… concepisce il corso del pensiero come uno sviluppo progressivo in cui il nuovo si identifica con il valore attraverso la mediazione del recupero e della appropriazione del fondamento-origine. Ma proprio la nozione di fondamento, e di pensiero come fondazione e accesso al fondamento, viene radicalmente messa in discussione da Nietzsche ed Heidegger. Essi si trovano così nella condizione, da un lato, di dover prendere le distanze criticamente dal pensiero occidentale in quanto pensiero del fondamento; dall’altro lato, però, non possono criticare questo pensiero in nome di un'altra, più vera, fondazione. È in questo che, a buon diritto, possono considerarsi i filosofi della post-modernità». Questa nostra tanto agognata post-modernità si riempie dunque di qualche contenuto. Non è più una scatola vuota. Apprendiamo che in essa il concetto di «fondamento» non c’è più. E che, sempre in essa: non si può più parlare di «superamento» e nemmeno di «sviluppo progressivo». Da cosa sarà dunque contrassegnato questo pensiero che, fin da subito, «si caratterizza non solo come novità rispetto al moderno, ma anche come dissoluzione della categoria del nuovo, come esperienza di “fine della storia” piuttosto che come presentarsi di uno stato diverso, più progredito o più regredito, non importa, della storia stessa»? Risponde lo stesso Vattimo ad un certo punto del suo libro: «un discorso sul postmoderno in filosofia… deve farsi guidare, credo, da un termine introdotto in filosofia da Heidegger, quello di Verwindung. Verwindung è la parola che Heidegger usa… per indicare qualcosa che è analogo alla Uebewindug, il superamento o oltrepassamento, ma che se ne distingue perché non ha nulla della Aufhebung dialettica, né del “lasciarsi alle spalle” che caratterista il rapporto con il passato che non ha più nulla da dirci. Ora, proprio la differenza fra Verwindung e Ueberwindung è per l’appunto ciò che può aiutarci a definire il “post” del postmoderno in termini filosofici». Il termine Verwindung, dunque, «indica un oltrepassa mento che ha in sé i tratti dell’accettazione e dell’approfondimento». Non di «superamento» si deve perciò parlare nel post-moderno, ma di «oltrepassamento». Questo è lo specifico contributo che Heidegger e Nietzsche forniscono alla definizione di post-moderno che stiamo ancora cercando.

Siamo in presenza adesso di una nuova considerazione delle cose di tipo conservativo («accettazione») e analitico («approfondimento»). Ovvero ci troviamo dinanzi ad un pensiero che scava in profondità rivelando aspetti distinti della realtà e che lo fa all’interno di una manovra che privilegia ancora il passato, o meglio, come dice lo stesso Gianni Vattimo - interpretando stavolta Nietzsche - siamo alle prese con «il divenire di formazioni spirituali la cui sola regola è una certa continuità storica, senza alcun rapporto a una qualche verità fondamentale». Il post-moderno - gesto o atteggiamento di «oltrepassamento» del moderno - si preannuncia dunque come qualcosa di esclusivo, di determinato, di particolare, che possiede «una certa continuità storica» con il passato e che presuppone un cambiamento di prospettiva, di occhio, di impostazione. Non si tratta di un momento «ulteriore» rispetto al moderno ma di qualcosa di «diverso» da esso. Quali sono, all’interno di questa definizione, le componenti principali del post-moderno? Vattimo ci informa che esso è «un pensiero della fruizione», «un pensiero della contaminazione» e «un pensiero del Ge-Stell». In quest’ultima frase per Ge-Stell è da intendersi: «l’universale imposizione e provocazione del mondo tecnico». A questo tratti identificativi del post-moderno sono da aggiungersi anche i seguenti altri: «il pensiero non più orientato sull’origine o il fondamento, ma sulla prossimità» e «un pensiero dell’errore, o meglio ancora dell’erranza, per sottolineare che non si tratta di pensare il non-vero, ma di guardare al divenire delle costruzioni “false” della metafisica, della morale, della religione, dell’arte - tutto quel tessuto di ornamenti che soli costituiscono la ricchezza o, più semplicemente, l’essere della realtà». Il post-moderno è perciò una specie di acquario nel quale tutta la vita è esposta ed immediatamente presente ma nello stesso tempo si trova ad essere aleatoria, libera, casuale e contingente. Un acquario in cui regnano sovrani «i tratti dell’esistenza nella società tardo-capitalistica, dalla mercificazione totalizzata in “simulacrizzazione” al conseguente esaurimento della “critica dell’ideologia”, alla “scoperta” lacaniana del simbolico». L’operazione genealogica compiuta da Vattimo si è servita dunque del concetto di «oltrepassamento» (rinvenuto in Nietzsche ed Heidegger) per transitare in un luogo dove ogni cosa sembra adesso più difficile da reperire, dove mancano del tutto i punti fermi e all’interno del quale «nella pratica storiografica e nella sua autoconsapevolezza metodologica l’idea di una storia come processo unitario si dissolve, e nell’esistenza concreta si instaurano condizioni effettive - non solo l’incombere della catastrofe atomica, ma anche e soprattutto la tecnica e il sistema dell’informazione - che le conferiscono una sorta di immobilità realmente non-storia». Vattimo, insomma, si serve di un concetto soffice per sistematizzare il proprio oggetto di studio. Soffice perché il concetto di «oltrepassamento» è certamente lontano dalle rigidità del concetto di «superamento» che si lasciava sempre alle spalle qualcosa in maniera definitiva. Qui invece tutto è più sfumato, leggero, transitorio. Ma non solo. L’autore de Le avventure della differenza, rintracciando il proprio elemento-chiave nelle filosofie di Nietzsche ed Heidegger, si pone in perfetta continuità con essi. Egli stesso dice: «solo dalla messa in rapporto con la problematica nietzscheana dell’eterno ritorno e con quella heideggeriana dell’oltrepassamento della metafisica… le sparse e non sempre coerenti teorizzazioni del post-moderno acquistano vigore e dignità filosofica». Il suo scopo è dunque raggiunto: grazie al pensiero di due filosofi del passato il post-moderno è diventato una filosofia. L’unico problema è proprio che Nietzsche ed Hiedegger legittimano il post-moderno attraverso la loro messa in luce della mancanza di legittimità del «fondamento» e non offrendo un ulteriore «fondamento» che possa legittimare ogni cosa. Questo «fondamento» lo trova invece Vattimo nel concetto di «oltrepassamento». Egli si rivela così assai poco post-moderno in un operazione che riesce a restituire «dignità filosofica» al proprio oggetto. In parole povere: il post-moderno diventa pensiero ma si snatura del suo essere.

Al di là di questo esito singolare del fenomeno indagato in questo libro, alla fine della lettura ci troviamo di fronte, comunque, ad una disamina ferrea e ben orchestrata che vale gli 11 euro del prezzo di copertina e che ci consegna un aggiornamento teorico abbastanza interessante. Il post-moderno infatti «ricerca appunto ciò che Nietzsche e Heidegger hanno cercato nel loro peculiare rapporto “critico” verso il pensiero occidentale». Una concezione che ritorna. Un’idea che non è mai morta. Un pensiero ancora attuale. Tante cose su cui riflettere e meditare.

 

Gianfranco Cordì


Articoli correlati

  Gianfranco Cordì. Se non la realtà. Gianni Vattimo contro il «nuovo realismo».
  Gianfranco Cordì. Dal sogno al pessimismo: i “Millennials” alla luce del sole
  Gianfranco Cordì. Debole, fragile, limitato
  È morto Franco Volpi
  Lucio De Angelis. “L’illusione di Dio” di Adriana Martino
  Pesia d’autore/ Tadeusz Różewicz. “Der Tod ist ein Meister aus Deutschland”
  Gianfranco Cordì. Noi umani non possiamo fare a meno di chiederci cosa sia la nostra vita
  Gianfranco Cordì. L’orizzonte del vagheggiamento
  Gianfranco Cordì. L’incontenibile stupidità altrui
  Giuseppina Rando. Sulla noia
  Gianfranco Cordì: L’affermazione dell'unicità divina in Senofane
  Realismo Meridiano
  Gianfranco Cordì: Gli scritti di logica di Leibniz.
  Gianfranco Cordì: La Trascendenza. E il Principio di Identità degli Indiscernibili in Leibniz
  Gianfranco Cordì, La Differenza.
  Gianfranco Cordì: Il trattato teologico-politico di Spinoza
  Gianfranco Cordì
  Gianfranco Cordì: Introduzione a Spinoza che scrive il "Breve trattato su Dio, l'uomo e il suo bene"
  Gianfranco Cordì: il tempo per Seneca.
  Gianfranco Cordì. Intero Barrow
  Gianfranco Cordì: Democrito e il mondo
  Gianfranco Cordì. Sean Carroll, il perenne corso del «tempo»
  Gianfranco Cordì: Poincaré fra esperienza e convenzione
  Gianfranco Cordì. «La forza della vita reale»: Carl Schmitt e l’eteroclito
  Gianfranco Cordì. I nostalgici del passato: Lukács viaggia nella storia della filosofia
  Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia
  Gianfranco Cordì. L’ISOLA
  Gianfranco Cordì: Derrida introduce alla menzogna
  Gianfranco Cordì. In morte di Zygmunt Bauman
  Kierkegaard e il «Singolo» ovvero solitudine e responsabilità
  Gianfranco Cordì. Emanuele Severino e il fraintendimento del senso del nulla
  Gianfranco Cordì: Infinito e felicità negli atomisti antichi
  Gianfranco Cordì. “Sul leviatano” Le considerazioni di Schmitt
  Gianfranco Cordì. Charles Darwin, lo spietato
  Gianfranco Cordì. La prospettiva di Spengler
  Anticipazioni: Gianfranco Cordì. Nuovo realismo & Realismo meridiano
  Gianfranco Cordì: La doppia via dei Presocratici
  Gianfranco Cordì: sinistra, destra e globalizzazione
  Gianfranco Cordì, Indice estivo italiano mondialmente esausto.
  Gianfranco Cordì, Kant e il progetto globale della pace
  Gianfranco Cordì: Severino giudice della storia
  Gianfranco Cordì. In direzione della sintonia. Habermas oltre l’astratto
  Gianfranco Cordì. Il razionalismo esotico di Leibniz
  Gianfranco Cordì. Fare «filosofia»
  Gianfranco Cordì. Un raggio di luce fa il giro della terra sette volte al secondo
  Gianfranco Cordì. Hillman: una psicologia nuova o vecchia?
  Gianfranco Cordì, povero Wittgenstein
  Gianfranco Cordì. L’aggiornamento del concetto di superorganismo
  Gianfranco Cordì: Sulla linearita del mondo. Globalizzazione
  Emanuele Severino, Antologia filosofica dai greci al nostro tempo
  Gianfranco Cordì. Lo sguardo di Antonio Saccà
  Gianfranco Cordì. Scrutando l’interminabile: Emanuele Severino
  Gianfranco Cordì, lo Scetticismo antico.
  Gianfranco Cordì: Storia della sessualità di Michel Foucault
  Gianfranco Cordì: Le “piste” di Platone. Per studenti e lettori di filosofia
  Giada Fornaciari, Del mare e dell'anima
  Gianfranco Cordì: le "nudità" del Re. Discorso sulle parole della sinistra con un accenno alla sinistra delle parole
  Gottfried Wilhelm Leibniz, Saggi di Teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine del male.
  Gianfranco Cordì. Il ribelle meridiano
  Gianfranco Cordì. “Eclisse della ragione” di Max Horkheimer
  Gianfranco Cordì: "L'attrazione". Spinoza.
  Gianfranco Cordì. La morte, la terra e il «gran finale»
  Gianfranco Cordì. Danilo Zolo e la paura
  Gianfanco Cordì. Che cos’è la realtà?
  Gianfranco Cordì. I sensi, la ragione, la conoscenza: Locke
 
 
 
Commenti
Lascia un commentoNessun commento da leggere
 
Indietro      Home Page
STRUMENTI
Versione stampabile
Gli articoli più letti
Invia questo articolo
INTERVENTI dei LETTORI
Un'area interamente dedicata agli interventi dei lettori
SONDAGGIO
TURCHIA NELL'UNIONE EUROPEA?

 70.7%
NO
 29.3%

  vota
  presentazione
  altri sondaggi
RICERCA nel SITO



Agende e Calendari

Archeologia e Storia

Attualità e temi sociali

Bambini e adolescenti

Bioarchitettura

CD / Musica

Cospirazionismo e misteri

Cucina e alimentazione

Discipline orientali

Esoterismo

Fate, Gnomi, Elfi, Folletti

I nostri Amici Animali

Letture

Maestri spirituali

Massaggi e Trattamenti

Migliorare se stessi

Paranormale

Patologie & Malattie

PNL

Psicologia

Religione

Rimedi Naturali

Scienza

Sessualità

Spiritualità

UFO

Vacanze Alternative

TELLUSfolio - Supplemento telematico quotidiano di Tellus
Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
Sede legale: Via Fontana, 11 - 23017 MORBEGNO - Tel. +39 0342 610861 - C.F./P.IVA 01022920142 - REA SO-77208 privacy policy