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Irène Némirovsky, Suite francese
09 Agosto 2006
 

Irène Némirovsky

Suite francese

Adelphi, 2005, pagg. 415, € 19,00


Edito per la prima volta in Francia, nel 2004, Suite francese – di Irène Némirovsky – è stato subito un caso letterario. Scritto tra il 1941 e il 1942, in modo febbrile, pochi mesi prima dell'arresto e della deportazione dell'autrice, questo romanzo avrebbe dovuto far parte di una sinfonia in cinque movimenti, come definito il progetto dalla Némirovsky stessa, nel diario che teneva.

I tragici fatti andarono diversamente e la giovane donna di origine ebraica (nata a Kiev nel 1903, poi emigrata in Francia nel 1917) morì ad Auschwitz prima di poter ultimare il suo romanzo d'ampio respiro col quale intendeva narrare il destino di una nazione, la Francia, sotto l'occupazione nazista.

Irène Némirovsky riuscì però a completare solo i primi due libri: “Temporale di giugno” in cui viene raccontata la fuga in massa dei parigini dalla capitale all'arrivo dei Tedeschi e “Dolce”, cronaca di una passione proibita, bruciante e trattenuta, fra una sposa di guerra (col marito, non amato, al fronte) e un giovane ufficiale tedesco.

Un affresco di personaggi, il primo, a mettere in luce il più ampio spettro di sentimenti e atteggiamenti vissuti da un'umanità variegata, appartenente a diversi ceti sociali e dalle sensibilità più svariate, accomunata nella narrazione dell'autrice – che ha la caratteristica di un'istantanea o di una ripresa in diretta – dalla drammaticità dell'evento: la guerra che incombe, le case da abbandonare, il lavoro e ogni stabilità da cui prendere commiato: l'incertezza del futuro più immediato, la paura di morire...

Con lucidità e nell'assoluta mancanza di un'opinione espressa da parte della scrittrice, i fatti si presentano e vengono descritti con veridicità, forti dei dialoghi che la Némirovsky padroneggia con maestria. Le vicende sono avvincenti, rappresentate – come nelle intenzioni dell'autrice – da un punto di vista sempre molto quotidiano, affettivo e perciò sincero e coinvolgente, mentre restano sullo sfondo gli eventi storici con le loro motivazioni collettive e politiche.

Conosciamo così la famiglia borghese dei Péricand, con la signora madre dall'irreprensibile moralità; il famoso scrittore Gabriel Corte che crede, seppure in guerra, di poter vantare i suoi esclusivi privilegi per salvarsi la pelle a danno di vite altrui; i coniugi Michaud, due brave persone che non dimenticheranno i propri valori nonostante le asperità che li attendono; il soldato ferito Jean-Marie e il suo rapporto con le due ragazze della fattoria in cui è stato ospitato in convalescenza. Sono storie di amori che nascono in mezzo alle brutture, di legami che restano saldi o si rafforzano, altri che si sgretolano nell'egoismo, nelle piccole meschinità, fomentate dal cinismo o dal terrore che fa restare a galla spingendo altri negli abissi...

Si rivela altrettanto ben scritta la seconda parte di Suite francese – “Dolce” – che colpisce profondamente soprattutto quel lettore che si lascia appassionare dai ritratti di personaggi e sentimenti. Lucile è una giovane sposa, vive con la suocera in una casa nobile e triste, dove la luce e l'aria sono bandite per non rovinare arredi e suppellettili, dove si respira un'atmosfera greve nella tensione di pensare un marito (e per la suocera, un figlio) al fronte. Una vita che scorre nell'attesa, senza emozioni, senza passatempi. E con l'arrivo dei soldati tedeschi, una quotidianità che va vissuta con dignità, dovendo servire gli invasori, ma rimarcando la propria avversione.

Eppure Lucile, dal rapporto già fiacco col marito fedifrago, si scopre giorno dopo giorno sempre più attratta dall'ufficiale tedesco che si è sistemato nella dimora Angellier, in quel tetro mausoleo, dai suoi modi eleganti e gentili, dalla sua musica, dalle sue parole. Tutto cambia: i pomeriggi si possono trascorrere chiacchierando, o passeggiando in giardino, si può dimenticare per qualche ora la guerra e le opposte fazioni, gli impegni sentimentali, le paure. È un amore che corre sul filo di un desiderio cui si resiste per poterlo prolungare e far sì che illumini un momento dell'esistenza.

Veramente Irène Nemirovsky ha saputo restituire un fine quadro di molteplici possibilità che ha potuto giungere fino a noi in modo quasi rocambolesco: il manoscritto è stato salvato dalle figlie in fuga attraverso l'Europa in guerra, custodito in una valigia come un tesoro prezioso.

Unanime il consenso della critica più esigente, tanto da meritare l'assegnazione del prestigioso riconoscimento letterario francese “Prix Renaudot”, a titolo postumo.

 

 

In appendice all'edizione Adelphi (traduzione di Laura Frausin Guarino, a cura di Denise Epstein e Olivier Rubinstein) brani tratti dal diario dell'autrice, che ben testimoniano la cura al dettaglio che la Némirovsky riservava al suo lavoro, e la corrispondenza accorata messa in atto da più parti (dal marito, dai suoi editori, visto che era scrittrice già molto nota in Francia, da esponenti della Croce Rossa e del governo) per cercare sue notizie dopo l'arresto del 13 luglio '42 e tentare di salvarla dalla deportazione.

 

Annagloria Del Piano


 
 
 
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