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Gianfranco Cordì. L’aggiornamento del concetto di superorganismo
17 Dicembre 2011
 

Un'istituzione. Bert Hölldobler (Erling-Andechs, 25 giugno 1936) ed Edward Osborne Wilson (Birmingham, 10 giugno 1929) in questo Il superorganismo. Bellezza, eleganza e stranezza delle società degli insetti (illustrazioni di Margaret C. Nelson, traduzione di Isabella C. Blum, con un saggio di Donato Antonio Grasso, Adelphi, 2011) immettono i loro lettori all’interno di un universo caratterizzato da una dimensione in più: quella relativa ad un ente costituito per il perseguimento di un determinato e dato fine. Ovvero: per precisi scopi pratici. Il centro dell’attenzione dei due autori è fissato fin da subito sulle «formiche, le api, le vespe e le termiti» perché esse «sono fra gli organismi non umani socialmente più progrediti di cui siamo a conoscenza». Ma tutto il discorso intrapreso in questo libro - che si sorregge su una profonda base scientifica - diventa sin dal principio colloquiale, semplice, assolutamente non tecnico senza mai diventare del tutto divulgativo. Siamo perciò in presenza di un libro di scienza che si lascia leggere come un romanzo. Di un trattato specialistico che non si sofferma su particolari esoterici o destinati prevalentemente ad addetti ai lavori. O almeno: non più di tanto. Proprio la formidabile forza espositiva costituisce il pregio principale di questo libro che, alla fine, meriterebbe un pubblico certamente diverso da quello che solitamente frequenta la «Biblioteca Scientifica» dell’«Adelphi» - collana entro la quale esso è inserito. Il limite di tutta l’operazione, d’altro canto, potrebbe essere appunto quello di far dire al libro tutto un complesso di cose che il libro effettivamente non dice. Ma ci arriveremo.

Consideriamo, intanto, al principio della nostra delucidazione gli «organismi». Cioè ogni essere vivente, animale o vegetale, inteso come insieme di parti specializzate in grado di svolgere delle funzioni coordinate. Le formiche, in questo senso, sono degli organismi. Ma l’«organizzazione biologica», come affermano Hölldobler e Wilson, è in ogni caso strutturata a vari «livelli». Se è vero che esistono gli «organismi» è altrettanto vero che, ad un livello superiore, ci si imbatte nell’intero «ecosistema». A metà strada fra questi due «livelli» ecco nascere il «superorganismo» ovvero l’istituzione di cui si diceva. Le domande che sorgono a questo punto sono due: come nasce questa istituzione? Quali sono i suoi elementi costitutivi? In definitiva: quali sono le cause che generano il «superorganismo»? Che cosa è questa entità o istituzione? Lasciamo rispondere alla prima domanda i due stessi autori del libro. «Nella costruzione di un superorganismo, gli algoritmi dello sviluppo e del comportamento delle caste costituiscono il primo livello; il secondo è l’evoluzione genetica degli algoritmi stessi». Una «casta» è «ogni gruppo di individui con particolari caratteristiche morfologiche o appartenente a una data classe di età, o entrambe le cose, che esegue compiti specializzati all’interno della colonia». Una «colonia» è allora: un «gruppo di individui – diverso da una singola coppia – che costruisce nidi o alleva la prole in modo cooperativo». Già a questo punto preliminare della nostra disamina del volume in oggetto emergono chiaramente alcune delle caratteristiche fondanti del superorganismo che vedremo tornare poi nella sua stessa definizione. Ci sono le formiche (gli «organismi»), dunque, e poi ci sono le «colonie» ed infine ci sono le «caste». Il superorganismo nasce dalla «sociogenesi, ossia lo sviluppo della colonia mediante la creazione di caste specializzate che operano insieme come un tutto funzionale. Le caste sono create mediante gli algoritmi di sviluppo: regole di decisioni sequenziali che guidano passo per passo la crescita e lo sviluppo corporei di ciascun membro della colonia finché esso non raggiunge il suo stadio adulto finale. Negli imenotteri sociali (formiche, api sociali e vespe sociali) la sequenza è pressappoco la seguente. In corrispondenza del primo punto decisionale, a seconda della sua condizione fisiologica, l’uovo o la larva di sesso femminile imbocca, tra le due possibili, l’una o l’altra via di sviluppo fisico. Se l’insetto immaturo prende la via che comporta un processo di cresciuta e sviluppo più lungo, una volta raggiunto lo stadio adulto diventerà regina. Se prenderà l’altra via, la crescita e lo sviluppo saranno più brevi ed esso diventerà un’operaia». La «causa» che conduce al formarsi di un superorganismo è quindi del tutto naturale, genetica, biologica. Non dobbiamo infatti dimenticare che «i geni prescrivono la sequenza delle proteine, le proteine si auto assemblano formando le cellule, queste si moltiplicano e si aggregano per formare gli organi, i quali vanno a far parte degli organismi; e gli organismi si raccolgono - nell’ordine - in società, popolazioni ed ecosistemi. Gli effetti esercitati dalla selezione naturale su un tratto appartenente a un livello qualsiasi della gerarchia si riverberano poi su tutti gli altri. Tutti i livelli di organizzazione sono bersagli primari o secondari della selezione naturale». Gli «algoritmi effettivamente realizzati» che guidano il comportamento delle formiche durante il processo che porta alla formazione delle «caste» sono «quelli usciti vincenti dal processo di selezione naturale». Eppure questo superorganismo alla fine fa delle cose che i singoli organismi non fanno. O meglio: contiene degli elementi al suo interno che non sono presenti nei singoli organismi che lo compongono. Come giustamente affermano Hölldobler e Wilson: «nel cervello di una formica operaia non vi è alcune rappresentazione di un progetto dell’ordine sociale». Eppure tale «progetto dell’ordine sociale» non solo emerge allo stadio dell’istituzione (del superorganismo), ma costituisce anche la caratteristica più saliente che fa muovere questa nuova entità autonomamente e in direzioni non prevedibili partendo dalla semplice immagine di un complesso di formiche e delle loro relazioni reciproche. Alla seconda domanda Hölldobler e Wilson rispondono in vari modi. Eccoli qui di seguito. «Nel suo senso più lato, il termine superorganismo è appropriato per designare qualsiasi colonia di insetti eusociale, ovvero “autenticamente sociale”, il che implica la presenza di tre caratteristiche: i membri adulti sono suddivisi in caste riproduttive e in caste operaie formate da individui parzialmente o completamente non riproduttivi; due o più generazioni di adulti convivono nello stesso nido; le operaie non riproduttive o parzialmente riproduttive accudiscono le forme immature». Ovvero: «il termine superorganismo può essere limitato a colonie che presentino uno stato di asocialità avanzato, in cui il conflitto interindividuale per il privilegio riproduttivo sia ridotto e la casta delle operaie sia selezionata in modo da massimizzare l’efficienza della colonia nella competizione intercoloniale». Per «eusocialità» dobbiamo a questo punto intendere quella particolare proprietà riferita «a gruppi di individui che presentano contemporaneamente tutte e tre le seguenti caratteristiche: cooperazione nella cura della prole; divisione riproduttiva del lavoro, con individui più o meno sterili che lavorano per conto di altri, coinvolti invece nella riproduzione; sovrapposizione di almeno due generazioni di stadi vitali in grado di contribuire al lavoro della colonia».

Un'altra definizione di superorganismo fornita dai due autori è la seguente: «i diversi processi cooperativi della emigrazione e della costruzione del nido sono tra i fenomeni che più chiaramente evidenziano la selezione a livello di colonia (selezione fra gruppi) e che giustificano la descrizione delle società degli insetti come superorganismi». Ed ancora, sviluppando un esempio specifico: «poiché possiedono uno dei sistemi di comunicazione più complessi fra quelli noti negli animali, insieme al più elaborato sistema di caste, a un’architettura del nido che prevede il condizionamento dell’aria, e a popolazioni nell’ordine di milioni di individui, le formiche taglia foglie meritano di essere riconosciute come la massima espressione del superorganismo su questo pianeta». Ed infine: «un superorganismo è una colonia di individui auto-organizzata attraverso la divisione del lavoro e tenuta unita da un sistema di comunicazione chiuso». Abbiamo diverse componenti che connotano dunque il nostro superorganismo. Nell’ordine esse sono: «socialità», «cooperazione», «efficienza», «suddivisione», «specializzazione», «comunicazione» «accudimento» e «convivenza». A queste si deve aggiungere quell’«altruismo estremo» di cui parla Donato Antonio Grasso - nel suo saggio introduttivo all’opera, dal titolo «Dall’individuo al superorganismo» - e che può «culminare nella rinuncia alla produzione individuale». Tutte queste caratteristiche possono essere racchiuse nel concetto di «relazione». Questo superorganismo è dunque una rete.

Vediamo adesso riempirsi di significati quella istituzione dalla quale eravamo partiti. In sostanza siamo in presenza della forza del collettivo, della comunità, del sodalizio. Siamo di fronte a un agenzia. E siamo di fronte a un’istituzione che per Hölldobler e Wilson fa anche diverse cose. Essi dicono: «questa folla di individui guidata da algoritmi dà vita alla colonia, un’unità superiore le cui azioni sono integrate così da formare schemi ordinati che le consentono di sopravvivere e riprodursi come tale». È proprio questo l’aspetto che nella definizione di superorganismo fa cadere l’accento sulla seconda parte della parola in questione. Hölldobler e Wilson proprio all’inizio del loro lavoro ci avvisano che «in questo libro considereremo la colonia di insetti come l’equivalente di un organismo: l’unità che occorre esaminare per comprendere la biologia delle specie coloniali». Appunto «come un organismo» questa istituzione che abbiamo visto nascere e manifestarsi si comporta: sopravvive, si riproduce, va avanti nella lotta della selezione naturale, compie operazioni inedite rispetto a quelle messe in atto dagli «organismi» (che in questo caso, come dicono i due autori: «non sono cellule e tessuti, ma animali che agiscono in stretta collaborazione») che lo compongono. Compie in ogni caso operazioni tipiche del suo essere una sostanza indipendente. Se questo è il significato della parola «organismo» nella nozione di superorganismo (il cui concetto è «emerso a cavallo fra Ottocento e Novecento, in un periodo di vivo interesse per la filosofia dell’evoluzione»), il senso del prefisso «super» sta in quello che abbiamo anticipato già sopra. Come dicono i due autori: «come qualsiasi altra unità di organizzazione biologica a livello di gruppo, i nidi sono, per citare Tohams D. Seeley, “eleganti dispositivi che la natura ha sviluppato per integrare migliaia di insetti in un’entità di ordine superiore, le cui abilità trascendono quelle di un singolo individuo”». E se queste «abilità» vanno oltre quelle di un singolo «organismo», è altresì vero che: «l’intelligenza complessiva della colonia è pertanto maggiore dell’intelligenza di ciascuno dei suoi membri, sostenuta com’è dall’incessante confluire delle informazioni in un unico pool, grazie alla comunicazione». Da ciò si deduce il motivo per il quale il superorganismo non è un semplice «organismo» ma è, appunto, «super». Esso è, pienamente, una entità vivente (un istituzione naturale) che possiede delle proprie leggi ed un proprio sistema di regole. Esso supera, appunto, la singola formica o la singola ape che lo costituisce. «La prestazione cognitiva di una singola ape esploratrice è ovviamente molto modesta rispetto all’elaborazione dell’informazione complessiva eseguita dall’intero sciame, che è un’entità cognitiva di ordine superiore. Il modo in cui esso sceglie la sua futura sede - insieme ad altri processi distribuiti e guidati anch’essi da algoritmi - qualifica chiaramente la colonia delle api come superorganismo». Insomma questo nuovo soggetto è caratterizzato da una ricchezza di connotazioni che i singoli suoi componenti non hanno. Esso è una struttura, una forma, un meccanismo o un dispositivo che conduce in se nuovi scopi, nuove cause, nuovi ingranaggi di crescita, sviluppo e maturazione. Questa istituzione - per usare una parola che ci sembra racchiudere il senso preciso di un congegno che si propone sia come oggetto di studio in sé e per sé sia come soggetto biologico presente in natura accanto a tutti quelli tradizionali - insomma apre una prospettiva, introduce ad un ottica nuova, rappresenta una tendenza originale. Caratterizzato come è dal talento, dall’efficienza e dalla destrezza, il superorganismo, infatti, apre nuovi scenari alla vita degli insetti sociali. In qualche modo l’introduzione di questo concetto biologico (lo scopo che si propongono i due autori del volume è quello di «aggiornare il concetto di superorganismo come tema organizzatore») è simile e ricorda quella dell’ Aufklärung o rischiaramento per quanto riguarda l’ingresso dell’Illuminismo nel panorama culturale del XVIII secolo.

Proprio come quella corrente filosofica, il superorganismo accende una nuova luce, illumina zone e spazi che altrimenti il singolo suo componente non avrebbe potuto scorgere, segnala, lumeggia strade e itinerari che nessun «organismo» (che lo abita) avrebbe altrimenti potuto intravedere. In questo senso non ci sentiamo di condividere l’interpretazione di Maurizio Ferraris contenuta nell’articolo “Uomini e formiche. Anche gli insetti nel loro piccolo formano società” (apparso sul quotidiano La Repubblica del 24 ottobre 2011). Ferraris infatti dice che «qui il disegno intelligente non è il presupposto, ma il risultato». Questa affermazione cozza proprio con quello che sostengono i due stessi autori del volume. Hölldobler e Wilson infatti a un certo punto affermano: «non c’è ragione di supporre che l’insetto stia pensando come un essere umano ai motivi delle proprie azioni o alle loro possibili conseguenze. Piuttosto, esso passa da un algoritmo a un altro». E in questo «passare» esso non è guidato altro che dall’istinto. Infatti: «gli insetti sociali sono rigidamente governati dall’istinto, e lo saranno sempre». Nessun «disegno intelligente», dunque, nel superorganismo ma solo l’apertura di un orizzonte, rigidamente governata dalla biologia. Certo il superorganismo è più «sofisticato» dell’«organismo», è più raffinato nei suoi comportamenti, è più variegato nelle sue prestazioni. Ma rimane pur sempre qualcosa di determinato. Rimane alla fine un istituzione che oltrepassa quella del singolo «organismo» per avvicinarsi al temperamento di un apripista, di un battistrada, di un indicatore di via e di percorso. In fondo, il superorganismo, così come lo interpretano Hölldobler e Wilson, è un’ipotesi. Un’ipotesi su cui lavorare.

Ultima notazione: del tutto inutile è il tentativo di estendere la nozione di superorganismo ad altre società diverse da quelle studiate - in questo godibile e alla fine straordinario libro - da Hölldobler e Wilson: si tratta di fenomeni particolari relativi a gruppi di soggetti particolari. Nessun insegnamento dalla biologia per noi, dunque, se non quello di osservare attentamente il nostro oggetto d’analisi e di dedurre conseguenze in maniera autenticamente scientifica. Ma questo lo sapevamo già. L’importanza del superorganismo sta proprio nel suo essere sì un fatto biologico ma anche un fatto biologico del tutto peculiare. Di essere una nuova istituzione con la quale l’intera organizzazione della natura si deve ad ogni momento confrontare.

 

Gianfranco Cordì


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