Fermare l'indicizzazione delle pensioni. Più precisamente bloccare (temporaneamente, per due anni) l'adeguamento (parziale, perché il recupero è come noto pari al 75% dell'aumento -Istat, ché quello reale è spesso altra cosa- del 'costo della vita'). Fatto salvo il limite di salvaguardia per le pensioni più basse, è quanto contenuto nel “decreto salva Italia” in discussione al Parlamento, nel momento in cui scriviamo, per la conversione in legge. Si tratta di un “messaggio lanciato al Paese”: rincorrere l'inflazione significa anche alimentarla, in una spirale perversa che già abbiamo conosciuto, e non per caso altrove la crescita dei redditi è strettamente connessa alla crescita effettiva dell'economia. Giusto.
La misura “di rigore” fa il paio con la decisione, questa più “strutturale”, del passaggio al contributivo per tutti dal 1° gennaio 2012. E allora il “messaggio”, per risultare immediatamente comprensibile e più efficace, doveva/dovrebbe essere completato con un ribasso, anche simbolico (1 punto, mezzo punto...), dell'aliquota IRPEF sulle pensioni. Ribasso da ulteriormente, e proporzionalmente, incrementare in caso di proroga (che ci sarà, dopo i due anni, date retta a me) della misura temporanea. I contributi previdenziali, che a questo punto divengono veri e propri accantonamenti, risultano infatti già tassati al momento della percezione del reddito da lavoro (e così nel momento in cui producessero rendite finanziarie), e non per caso altrove le pensioni non vengono tassate. Non sarebbe giusto? (Enea Sansi, p. 'l Gazetin, dicembre 2011)