Il club italiano di basket più vincente in Europa è la Pallacanestro Cantù. La storia dice che la società brianzola ha vinto due Coppe dei Campioni, due Intercontinentali, quattro Coppe delle Coppe e quattro Korac. Da quest'anno Cantù è tornata a evoluire nella massima competizione europea, in virtù del magnifico secondo posto nel campionato italiano 2010-2011. Una piazza d'onore che non si è rivelato un sogno sfumato, ma è valso come uno scudetto. La bacheca di Cantù è straordinaria se si pensa che il club fondato nel 1936 e in serie A dal 1954-55 rappresenta un paese, neppure capoluogo di provincia, di appena 39mila abitanti. Cantù come il biblico Davide, capace di abbattere i vari Golia. Cantù come e più di Mosca, Atene, Madrid, Milano, e molto, molto più di Londra, Parigi, Berlino e compagnia bella.
Il segreto del successo è nell'immensa passione popolare che ha sempre accompagnato le sorti della squadra indissolubilmente legandola al suo popolo e territorio. Ma esiste anche una trasversalità: la favola canturina è sempre stata seguita con simpatia da innumerevoli persone. Forse si tratta della società italiana che ha più tifosi sparsi fuori dal proprio ambito.
Passione e oculatezza, una perfetta organizzazione, sapienza gestionale e tecnica. Bruno Arrigoni, il direttore sportivo, non sbaglia un colpo. Andrea Trinchieri, l'allenatore, giovane e poliglotta, si è fatto dalla sua una discreta gavetta e tutto quel che si è conquistato è strameritato, un genuino e positivo caso di self-made man; lui è davvero uno che ha camminato senza raccomandazioni: emblema di capacità, intelligenza e volontà che hanno infine riscosso il giusto premio (e non è finita). La squadra gioca bene, dà tutto sul campo, si sbatte e si sbatte, senza isterie, con umiltà e dedizione, uno per tutti e tutti per uno. Ciascun giocatore poi, arrivato a Cantù, si canturinizza: praticamente adottato dalla gente, senza divismi e con senso di partecipazione e attaccamento alla maglia: che si tratti di georgiani, americani, oriundi o prodotti nostrani. Fra questi ultimi vale la pena di citare il veterano Gianluca Basile, giunto sui colli brianzoli onusto di gloria e apparentemente a fine carriera.
Basile ha 36 anni, quasi 37, non più pochi per un cestista e un atleta, ed è reduce da qualche acciacchino e dagli anni passati al Barcellona, vincenti anche questi dopo che con la Fortitudo Bologna e l'Italia aveva mietuto allori: scudetti, Europeo per nazioni (209 presenze in azzurro), argento olimpico. Celebre il suo 7/11 da 3 contro la Lituania alle semifinali olimpiche del 2004.
Basile parla poco, non ama sprecare parole, non ha bisogno di aprir troppo bocca per esser modello ed esempio. Il talento non gli è mai mancato, ma l'ha coltivato con un impegno quotidiano, continuo, serio.
Spiritoso anche, il ragazzo di Ruvo di Puglia, quando ha ribattezzato i suoi tiri “ignoranti”, quelli un po' fuori dagli schemi, da certe stringenti e ferree logiche tattiche. Non è un mangiapalloni il Baso, ma scocca talora dei tiri imprevedibili e imprevisti alle difese per le quali è dunque sempre un rebus. Ciò non significa che l'obiettivo primario non sia quello di far giocare la squadra (è anche un buonissimo assistman), ma estro, istinto e intelligenza gli suggeriscono talora situazioni impensate e risolutive. Il suo tiro, costruito nel tempo, è di esecuzione perfetta, il raggio praticamente illimitato. La vis pugnandi mai doma. La classe sempre cristallina. È così che mercoledì 7 dicembre, a Sant'Ambroeus, mentre Milano senza il Golden Boy, alias Danilo Gallinari, tornato ai Denver Nuggets, in Colorado, negli States per l'imminente stagione NBA, le buscava a Istanbul e malinconicamente e virtualmente, a meno di un miracolo, abbandonava il medesimo torneo frequentato dagli eterni rivali canturini, è così, dicevamo, che Basile, stramarcato, allo scadere della sirena ha infilato nell'infuocata arena di Bilbao un tiro da 8 metri abbondanti per la vittoria dei suoi colori cui ha consegnato, con ogni probabilità, la qualificazione alle migliori 16 d'Europa. Vero è che non è la prima volta che il nostro va a compiere una simile impresa. Ma, ogni volta che succede, è come se fosse la prima volta. O, almeno, il sapore è quello.
Per segnare un tiro così, da antologia, da leggenda, prima di tutto ci devi credere. Non bastano talento e classe, che pure puoi possedere in smisurata quantità, né la forza atletica o la forma fisica; devi prima e soprattutto crederci. È quel che fa la differenza fra un giocatore normale, buono, anche ottimo e un campione. Gianluca Basile, 37enne giovanotto di Ruvo di Puglia, cestista giramondo e dappertutto a casa, come un cavaliere senza macchia e senza paura, è un campione a 24 carati.
Alberto Figliolia