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Giulio Mola. L'ultima partita
08 Dicembre 2011
 

Anche nel gioco più bello del mondo talora fanno irruzione il dolore, il male e la malattia. Qualche volta si è costretti a giocare, proprio malgrado, L'ultima partita. E L'ultima partita è il titolo del volume di cui è autore Giulio Mola, un libro-inchiesta su malattie e decessi nel mondo del calcio.

Ai gol, agli assist e alle illuminazioni di Lionel Andrés Messi, la Pulce, che tanta gioia regalano a tifosi, appassionati e amanti dell'estetica fanno, ahinoi, da contraltare i troppi morti e malati di SLA, la terribile sclerosi laterale amiotrofica o Malattia dei motoneuroni o Morbo di Lou Gehrig (formidabile giocatore di baseball statunitense fra gli anni Venti e Trenta che ne morì), malattia degenerativa e progressiva del sistema nervoso che implacabilmente conduce alla paralisi e alla fine. Al vertiginoso e funambolico dribbling, alle prodezze balistiche di Cristiano Ronaldo fanno da contrasto tumori e leucemie che hanno colpito innumerevoli eroi della domenica in percentuali ben superiori a quelle che hanno toccato altre categorie sociali e professionali.

Zdenek Zeman, allenatore di superba abilità, profeta del calcio offensivo, in passato denunciò l'ingresso abnorme della “farmacia” nel calcio. Pagò il parlar libero con l'ostracismo dell'ambiente, anche se ora è tornato a insegnare calcio-spettacolo con il Pescara in serie B.

Il libro di Mola è esauriente e drammatico, aprendosi con un piccolo dizionario: dal cortex al neoton, dall'esafosfina al micoren. Forse si potrà correre di più assumendo indebite sostanze chimiche, non giocare meglio. Il calcio è agonismo sì, ma senza tecnica non si va da alcuna parte. Sport di squadra che raggiunge vette d'arte: che bisogno c'è di altri ausilii se non il talento, la passione, l'allenamento, una sana dieta, una preparazione atletica scientifica, mirata e onesta?

L'incubo SLA è certo quello più pesante. In fondo non se ne conosce neppure la genesi. Potrebbe essere un'insieme di fattori farmacologici, genetici e ambientali (qualcuno ha ipotizzato anche i microtraumi causati dai colpi di testa. O certi batteri del suolo produttori di tossine). Sicura è solo l'ecatombe a carico dei calciatori, tante e tante vittime mietute, fra cui volti familiari, cui si era affezionati come vecchi amici di famiglia o che hanno addirittura segnato la storia del football italiano e non solo: Adriano Lombardi, capitano coraggioso di Avellino e Como; Gianluca Signorini, nel cursus honorum Parma, Roma e, sua autentica bandiera, Genoa; Guido Vincenzi, una lunghissima carriera fra Inter (campione d'Italia 1954) e Sampdoria; Fulvio Bernardini, immenso come giocatore, giornalista e allenatore... Un elenco troppo lungo. Armando Segato fu “il primo” ad ammalarsi: indimenticato mediano della Fiorentina scudettata del 1956 e nazionale, morì a soli 42 anni.

Stefano Borgonovo, già centravanti di Como, Fiorentina e Milan, sta combattendo con coraggio estremo la sua battaglia contro “la stronza”, come lui chiama la malattia. Nel suo libro Attaccante nato edito da Rizzoli, Stefano, attaccante generoso, si racconta a cuore aperto.

Ma non c'è solo la SLA, di cui, come si è detto, non si conoscono ancora appieno le cause scatenanti e che potrebbe anche essere estranea a presunti abusi farmacologici. È altro che, soprattutto, non va. Veramente impressionante è lo spettro dei capitoli che indagano i fenomeni più oscuri, così come accendono curiosità e voglia d'informarsi le interviste ai protagonisti. Un'infinità di casi, con relative colpe, sospetti e omissioni, liste di deceduti, l'inchiesta di Guariniello, il nandrolone, gli ormoni, i mancati controlli, le pillole miracolose, il doping invisibile.

«Prendevo di tutto. Le foto dei miei ex compagni di squadra sono piene di croci», ha detto Gianluca Gil De Ponti, classe 1952, buonissimo centravanti di provincia fra Cesena, Bologna e Avellino, cui era stato diagnosticato un tumore alla testa.

«Nel riscaldamento prepartita ci davano delle palline rosse da ingerire, penso Micoren. Per noi prenderle era un'abitudine, come trovarsi le flebo vicino ai lettini...», la dichiarazione di Gianfranco Mannarelli, ex calciatore semiprofessionista ammalatosi di leucemia.

Campeggiano in quarta di copertina, richiamo a quelle contenute all'interno, le parole fra il j'accuse, piccoli sospetti o grandi dubbi, di Diego Fuser, ottimo centrocampista (fra le altre Torino, Milan e Lazio), calciatore da oltre 400 partite in A, con 65 reti, e 25 in Nazionale e dall'invidiabile bacheca (scudetto, Coppe Italia, Intercontinentale, UEFA, Coppa dei Campioni): «Come quando andavo in Nazionale e vedevo gente che si portava dietro barattoli di cose strane. Magari erano soltanto integratori, mi auguro fossero tutte cose legali...». Fuser ha amato sinceramente il gioco, evoluendo, dopo aver calcato i più prestigiosi palcoscenici, anche nelle serie minori.

Perché se nei campi calcati dai grandi e dalle grandi in teoria i controlli sono maggiori e più accurati e si è sviluppata, si spera, una diversa e più acuta sensibilità, che succede nelle minors?

Sì, il problema è soprattutto culturale, di cultura tout court e non solo quella specifica sportiva.

Ora non si può più dire di non sapere. Esiste un'ampia letteratura sull'argomento, dai primi libri-denuncia di Carlo Petrini, che ha fatto nomi e cognomi (e non è mai stato querelato...), a quelli di Massimiliano Castellani. Le pagine del libro di Giulio Mola svolgono, nel miglior stile giornalistico, un'importante funzione divulgativa ed educativa, costituendo un importantissimo contributo a squarciare i veli d'ipocrisia che celano verità e realtà.

Perché è giusto che il calcio non sia mai sottratto ai suoi più autentici valori, all'intrinseca bellezza, all'umana solidarietà che suscita, alla commovente forza che in esso risiede e da esso si sprigiona. Perché sia mens sana in corpore sano, come la saggezza antica suggerisce.

 

Alberto Figliolia

 

 

Giulio Mola, L'ultima partita, Fratelli Frilli Editori, pagg. 336, € 17,80


 
 
 
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