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13 Novembre 2011
Passa il tempo, ma il poeta austriaco Hans Raimund, che quest’anno ha festeggiato il sessantacinquesimo compleanno, non solo resta coerente alla sua poetica, rigorosa nel non rispondere - se non con un atteggiamento di dichiarata resistenza - alle richieste dell’industria culturale, ma si arrocca sempre più dichiaratamente su posizioni di una selettività ed eleganza davvero poco compiacenti alle diffuse abitudini di un consumo (anche del libro) rapido e superficiale. Le sue ultime cose sono, non a caso, uscite in due preziosi volumetti a tiratura limitatissima, dove alle parole si alternano le immagini, in una combinazione così raffinata di carta, carattere di stampa e testi da fare dei due libri due veri oggetti d’arte.
Le due pubblicazioni bibliofile (Immer noch Gedichte?, con immagini di Peter Trachsel - Ed. SchwarzHandPresse e Choral Variationen, con litografie a colori di Friedrich Danielis - Ed. Thurnhof) riprendono, in nuove variazioni appunto, i temi che Raimund tratta da sempre e che sono, in fondo, quelli della poesia tout court, ossia riflessioni sulla vita, la morte e il senso dell’umano agire. L’ambizione del poeta non è quella di “prodesse et delectare” di oraziana memoria e ancor meno quella di “edificare” o “migliorare l’umanità” secondo il programma proposto dalla cultura cristiano-illuministica e rivisitato a vario titolo da tanti lirici “impegnati” fino ai nostri giorni.
Come scrive nel brano finale del primo volumetto, un “pasticcio” in due sezioni in cui a brevi brani in prosa si alternano testi lirici, con indomita tenacia l’autore continua a scrivere poesie perché per lui esse costituiscono “un evento linguistico, formale e musicale”. Importante non è per lui in primo luogo di cosa esse trattino, anche se traggono sempre ispirazione dalla concretezza di un’osservazione, di un’esperienza, ritradotte in parole senza fronzoli sentimentali, con l’occhio vigile di chi aborre l’inutile divagazione e sa sempre stemprare la tragedia nell’ironia. Così, ad esempio nei versi seguenti, dove tuttavia, in traduzione, si perde la musicalità della rima finale:
L’OCCASIONE era buona
Lassù nel fienile
Dove due cappi
Che pendevan dalla trave
Stavano invitanti sull’assito:
Senza una goccia di sangue
Diranno
(cagna vecchia e malata)
I testi sono spesso estremamente personali e raccontano con dolorosa stringatezza e per schegge esperienze di vita che hanno invece lasciato segni indelebili nell’anima:
VIENNA 1973
“Le rêve est une seconde vie”
(Gèrard de Nerval)
L’uomo sta seduto in anticamera.
Aspetta.
Aspetta già da un pezzo.
Sente i rumori per le scale.
Silenzio. Passi che s’avvicinano, voci.
Passi che s’allontanano. Porte che sbattono, silenzio
…………………………
Frammenti di ricordi:
Lo schiarirsi la voce dei genitori sulle scale;
il padre in taxi, in viaggio verso l’obitorio, che di continuo alza le braccia
le lascia cadere:
il sì d’assenso presso la bara;
il sacco nero con i vestiti;
il breve annuncio sul giornale il giorno dopo:
ragazza investita dalla motrice del tram,
morta sul colpo,
traffico per più d’un ora interrotto …
………………………………
La ragazza che se n’è andata dalla vita.
Quella ragazza ritornerà in un’altra vita
rivisiterà ancora a lungo quell’uomo nei sogni,
in quelli diurni,
in quelli notturni,
con suo stupore sempre ugualmente giovane,
alla moda di qualche decennio fa truccata, vestita …
E sempre scontrosa,
E ogni volta quella ragazza dirà perché se n’è andata …
(La ragazza che se ne andò e ritornò)
Ancor più prezioso nella fattura è il secondo volumetto, dove a delicate litografie si alternano otto poesie in distici. Anche i titoli sono composti da due versi. Qui il riferimento alla musica è esplicito fin dal titolo che evoca le variazioni sul corale di Bach. Nella musica linguistica di Raimund non c’è tuttavia nulla della religiosità cui il corale deve la sua costituzione e la sua fortuna. Il poeta “che nella religione - qualsiasi essa sia - crede di riconoscere uno dei fatali errori di fondo della specie umana”, non conosce slanci metafisici, ma ricorre a questa forma della tradizione per dar voce a quel senso di estraneità che caratterizza la sua intera produzione e non lo fa sentire mai “a posto” in nessun luogo. All’amarezza di sentirsi inascoltato, Raimund non oppone però l’urlo della rabbia, ma una protesta “in tono basso”, che è insieme angoscia per il senso di non appartenenza che lo tormenta e anelito verso una partecipazione che gli viene puntualmente negata e lo costringe all’isolamento:
DA TROPPO TEMPO ORMAI NESSUNO SENTE
QUEL CHE DICE … E SE URLASSE! URLASSE!
Non urla. Parla piano a se stesso
Recita a se stesso con voce
Per abitudine contratta ciò che pensa ed ha
Scritto con questa voce che egli come
Uno strumento adopera da sé del suo
Suono godendo come di musica
Che un tempo dalle sue dita si sprigionò pose
Sull’avorio lisciato dall’uso di tasti lieve
Peso nelle orecchie echeggiò
Dei molti che un tempo gli stavano attorno …
Ormai da tanto tempo rifiuta la parola
Che agli altri si rivolge si è da tempo
Abituato al fatto che ciò che dice risuona nella stanza
Contro pareti cozza che egli si è murato all’intorno.
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