È notte, il lampione all’angolo di strada non funziona e a quest’ora non passa neppure un’auto. Una mano agile e scarna estrae una bomboletta di pittura spray e lascia una firma sul muro che termina con una stella a cinque punte. La mattina dopo i vicini curiosi leggono la firma de “El Sexto” (Il Sesto) e si chiedono per quale motivo una persona si faccia chiamare con un numero cardinale. Il presidente del Comitato di Difesa della Rivoluzione (CDR), piuttosto contrariato, si occupa di occultare l’irriverente soprannome e di cancellare il disegno, ma si può star certi che il mattino successivo comparirà di nuovo.
Fermate di autobus, pareti di istituzioni ufficiali, bidoni della spazzatura e rovine dove un tempo c’era una casa, sono la tela sulla quale questo artista di strada realizza i suoi scarabocchi. Il suo soprannome è di per sé sarcastico, perché allude alla campagna governativa per la liberazione delle cinque spie cubane catturate negli Stati Uniti. Danilo Maldonado sembra il nome del personaggio di una telenovela e così il nostro pittore di strada ha scelto di chiamarsi “El Sexto”, perché venga reclamata anche la sua scarcerazione. Certo, la sua non è una prigione fisica, ma si tratta di una grave clausura rappresentata dalla mancanza di diritti.
L’Avana è ormai una città del secolo XXI e non perché i pochi periodici in circolazione facciano capire che ci troviamo nel 2011. Ben altri sono i segnali, i barlumi di modernità che ogni tanto escono fuori da una vecchia corazza. Abbiamo persino simpatiche e misteriose pitture sopra diverse pareti, timidi segnali di un’espressione cittadina che non trova spazio in luoghi più convenzionali.
Alcuni giovani osano lasciare un marchio colorato di acrilico sopra sagome di cartone e dipingono alcuni simboli in una colonna. Rapidi, appongono un marchio improvvisato in una città già segnata da un’eccessiva propaganda ufficiale.
È un fenomeno che vivacizza, anche se molti lo giudicano un danno alla proprietà collettiva o privata, perché si tratta di un linguaggio che va di pari passo alla retorica del potere, una sorta di grido composto di disegni colorati.
Molti paesi hanno già passato il periodo dei graffiti di strada, mentre noi avaneri, neofiti in una materia composta di messaggi dai molteplici significati, assistiamo estasiati e indignati alla loro comparsa. Il maestro per eccellenza di un’arte così spontanea è un ragazzotto magro conosciuto come “El Sexto”, autore di molti sberleffi grafici e persino di qualche critica al potere composta di frasi che sembrano frammenti di canzoni di hip hop.
“Sono in ogni luogo…”, ci grida da un pezzo di carta e, dopo aver diffuso un simile messaggio, i poliziotti vedono graffitari ovunque, sospettano che persino un infante possa nascondere una bomboletta spray nella sua carrozzina.
Qualche settimana fa, nella nostra scolorita capitale hanno arrestato l’artista più stravagante tra coloro che lavorano sulle facciate. El Sexto è stato obbligato a salire in un’auto da tre uomini robusti, che non si sono identificati ma di sicuro appartenevano alla polizia politica. È stato condotto in una stazione dall’aspetto così lugubre che avrebbe potuto ravvivarla solo un disegno di Danilo Maldonado. El Sexto è stato trattenuto in cella per quasi quattro giorni, perché confessasse il nome del mandante dei suoi arabeschi e delle frasi irriverenti.
Prima di tutto hanno cercato di fargli capire quanto fosse immaturo, dicendogli che se avesse messo il suo spray al servizio del discorso ufficiale lo attendeva un luminoso futuro. Ma il testardo artista non si è lasciato convincere. Ha risposto che quei graffiti sono frutto soltanto della sua immaginazione e che preferiva rischiare come pittore alternativo piuttosto che entrare a far parte del riconoscimento istituzionale.
Scontati quattro giorni di detenzione, è stato liberato ed è tornato nella sua strada, dopo aver firmato un Atto di Avvertenza. Quella stessa notte ha messo ancora una volta la sua firma sopra una parete dipinta da poco. Ma non è più la stessa cosa.
Prima di essere arrestato, El Sexto era una presenza anonima, occulta, che dipingeva negli spazi liberi; adesso sappiamo come si chiama, dove abita e persino il numero della sua carta d’identità. È diventato il nemico pittorico numero uno e la punizione che probabilmente gli infliggeranno lo allontanerà dai muri, dalle bombolette spray e da quelle mattinate avanere durante le quali la sua scarna mano cercava di ravvivare una città così scolorita.
Yoani Sánchez
(da Voces n. 11, novembre 2011)
Traduzione di Gordiano Lupi