“That’s all, folks”, titola in copertina L’Economist che saluta la fine del governo Berlusconi con la stessa frase che immancabilmente chiudono i cartoni animati della Warner Bros. E fa il paio con quel Sic transit gloria mundi che impazza nella rete, e ripete quel che Berlusconi disse alla notizia della morte di Gheddafi.
Già impazza il toto-ministri, come se non solo Berlusconi abbia già formalizzato le dimissioni (cosa che non ha fatto), come se già il presidente della Repubblica Napolitano abbia incaricato Mario Monti di cercare di formarne un altro (cosa ancora da venire), come se il presidente incaricato abbia già steso almeno uno scheletro di programma e, sottoposto ai vari attori politici, abbia ottenuto il loro ok…
Per ora, la situazione politica appare molto simile a un formicaio che qualcuno abbia devastato con una pedata. Silvio Berlusconi ai cronisti che gli chiedono cosa pensa dell’ipotesi di un governo di larghe intese o di emergenza appoggiato dal PdL, se l’è cavata con un laconico “Vediamo”; ed è poi tornato all’amarezza per quei “tradimenti” da parte dei “beneficiati: quelli di Roberto Antonione e di Gabriella Carlucci, in particolare: amarezza bollata come ingratitudine mostrata da persone che sono state beneficiate in tanti modi. Avrà senz’altro altri motivi di amarezza, Berlusconi.
Nel PdL si respira un clima da “notte dei lunghi coltelli”. L’ala ex AN è quella più abbarbicata alla poltrona (guardarli in faccia i Maurizio Gasparri, gli Altero Matteoli, gli Ignazio La Russa e vedere i parlamentari affrescati da Paolo Virzì in “Caterina va in città” è un tutt’uno); ed è quella che minaccia apertamente sfracelli, in significativa simbiosi con i ministri di area socialista come Maurizio Sacconi e Renato Brunetta; in questo sono spalleggiati dal lavorio dei tre “amigos”, i direttori de Il Foglio, de Il Giornale e di Libero: Giuliano Ferrara, Maurizio Belpietro e Alessandro Sallusti sono dichiaratamente favorevoli a elezioni anticipate subito, e non è improbabile che riflettano umori e tentazioni di Berlusconi. Sempre nel Pdl però non manca chi è dichiaratamente disponibile al nuovo esecutivo, una “rete” che va dai Giuseppe Pisanu ai Claudio Scajola; e si arriva all’attacco diretto sferrato dalle colonne del Giornale al ministro degli Esteri in carica Franco Frattini. La Lega con Uberto Bossi fa sapere che “è bello stare all’opposizione”, e che “da fuori si può controllare meglio”; ma intanto Roberto Maroni lavora silenzioso per la successione, ed è a lui che si guarda, non certo a personaggi come Roberto Calderoli o il “trota”, cerchio o non cerchio magico che ci sia.
L’Italia dei Valori è tutto meno che compatta, e la lettera incautamente resa nota dal senatore Pancho Pardi è solo la punta di un più vasto malumore che percorre e agita il partito di Antonio Di Pietro: sensibile più ai possibili ricavi elettorali che gli possono portare le elezioni anticipate che al baratro in cui può precipitare il paese. Del resto, non c’è di che stupirsi. L’uomo è così, tanto meglio tanto peggio, non si smentisce neppure questa volta. Quanto al PD non si saprebbe dire, dilaniato com’è da mille dubbi, posizioni, pseudo-strategie. Tutti dicono il contrario di tutto, e davvero appare difficile scorgere una posizione. “La politica è a una svolta, rifletteremo sulla chiusura del berlusconismo. Ma problema sarà capire e chiederci che tipo di democrazia vogliamo: se vogliamo ancora i salvatori della patria o se capiamo che ci salviamo solo tutti assieme”, dice il segretario Pier Luigi Bersani, nel corso della presentazione del libro di Maurizio Lupi La prima politica è vivere. Par di sentirlo, mentre pronuncia la storica frase, in puro accento bettolese. Poi uno si ferma a pensare: e dunque? E allora? E soprattutto: che significa? E ancora non si sono prodotti Rosy Bindi, Giuseppe Fioroni, Massimo D’Alema, Walter Veltroni… Ma non bisogna disperare: non mancheranno di indicare e spiegare quale sia il modo migliore per sbagliare.
Napolitano sta faticosamente tessendo la sua rete per arrivare all’incarico Monti; e occorre tenere d’occhio il contesto internazionale. Si sospetta, per esempio, un lavorio francese per arrivare a una sorta di Euro a due velocità, che potrebbe così declassare l’Italia in serie B. È forse anche per questo motivo, si fa osservare, per cui il Capo dello Stato ha ribadito che il nostro paese sarà all’altezza dei compiti che gli sono richiesti dall’Unione Europea; la telefonata del presidente americano Barak Obama e il lungo incontro con Monti al Quirinale si inseriscono in questo scenario. L’iniziativa della Casa Bianca è un indubbio aiuto al lavoro del presidente della Repubblica, un chiaro segnale rivolto a Parigi e Berlino. L'ipotesi di un governo Monti è stata ben accolta dai mercati ed è stata incoraggiata dal cancelliere Angela Merkel. Ma, non si stanca di ripetere il Quirinale, c’è poco tempo, e certe notizie che rimbalzano da Roma – come il surreale totoministri già in corso a Montecitorio – rischiano di comprometterne il cammino, restituendo l’immagine di un paese preda del solito teatrino politico.
Una volta tanto si può essere d’accordo con il leader dell’UdC Pier Ferdinando Casini (meglio: una volta tanto, Casini sembra essere d’accordo con i radicali): “Per la maggioranza e opposizione Berlusconi è stato un grande alibi, un 'manto' per non doversi misurare con la drammaticità delle situazioni. La caduta del governo Berlusconi porterà tutti a fare i conti con se stessi perché i governi passano ma i problemi rimangono”. Quell’alibi ora è venuto meno. Ora siamo a Rodi, e ora occorre saltare.
Valter Vecellio
(da Notizie Radicali, 11 novembre 2011)