Genova nel fango. E quante persone morte. Che pena terribile. La mente va al novembre del 1966.
Non avevo ancora dieci anni quando vidi un torrente erompere improvvisamente dalla viuzza di fronte a casa. Le acque attraversarono Via Matteotti in modo sgangherato e imboccarono il nostro portone, senza badare minimamente al traffico senza suonare e senza bussare. Si gonfiarono lungo il sottoportico gettandosi nel cortile e nelle cantine trasformandole ipso facto in cisterne fangose.
Noi bambini fummo portati in una camera al secondo piano, con il permesso di saltare sui letti e il divieto di muoverci di lì.
Fu in quei giorni ormai lontanissimi che udimmo pronunciare per la prima volta a mezza bocca dallo zio che era ingegnere civile queste parole alate: “Dissesto idrogeologico”.
Quarantacinque anni dopo, il dissesto si è aggravato. E ci dà una misura del nostro regresso civile, tra licenze edilizie creative, abusivismo pervasivo, condoni tombali e furbismo militante generalizzato.
E quando piove disastri e tragedie.
Piove, governo ladro.
Ma, al di là del malgoverno, occorre porsi una questione un po' più vasta, di cultura politica.
Eccola: come evitare la tracimazione dei corsi d’acqua laddove la nostra logica resta subalterna alle oligarchie del libero mercato che, manco a dirlo, “si regola da sé”?
Se il mercato si regola da sé, allora è il denaro che “lavora”, non gli uomini, e di conseguenza basterà che lo Stato lasci i soldi a chi già li ha, affinché i baiocchi generino baiocchi: “Più ricchezza per tutti!”.
Resta il fatto che in questo perfetto sistema di autoregolazione ci siamo dimenticati di rifare gli argini dei fiumi: Già, per quale ragione in tutti questi anni a nessuno è mai venuto in mente di privatizzare i terrapieni, i ciglioni, le scarpate, le dighe, le barriere, i terrazzamenti, le briglie e gli altri consolidamenti geologici?
Ma via, è ovvio: perché i terrapieni, i ciglioni, le scarpate, le dighe, le barriere, i terrazzamenti, le briglie e gli altri consolidamenti geologici non massimizzano profitti a breve.
È il neo-liberismo, baby.
Dunque, combattere il dissesto idrogeologico richiede il superamento del neo-liberismo. Il quale per altro, a ben vedere, comporta a valle un grave dissesto, anche economico, della nostra società e a monte discende da un dissesto etico e civico, forse ancor più grave.
Andrea Ermano
(da L'Avvenire dei lavoratori, newsletter 6 novembre 2011)