Enrique Serpa
Contrabbando
Elliot, pagg. 250, Euro 17,50
Traduzione di Silvia Quadrelli
Elliot colma un vuoto importante nella mia conoscenza della letteratura cubana, ma soprattutto porta in Italia uno scrittore che «merita di entrare a far parte della schiera dei grandi della letteratura del Novecento come Faulkner o Hemingway». Non sono parole mie, ma del grande Eduardo Manet e se lo dice lui che ha pubblicato con Leone Editore il meraviglioso L’amante di Fidel Castro ed è un ottimo drammaturgo cubano esule a Parigi, possiamo crederci. Contrabbando ci conduce per mano nei bassifondi dell’Avana anni Trenta, non così diversa da quella di oggi, tra miseria e voglia di cambiamento, per farci conoscere la vita di un pescatore che per tirare avanti accetta di dedicarsi al contrabbando.
Il romanzo è molto psicologico, ma dotato di grande ritmo, costruito con dialoghi coinvolgenti che trasmettono il carattere dei personaggi e costellato di descrizioni letterarie. Per chi conosce Cuba, pare di vederlo il casone di legno e tegole che si staglia, isolato e oscuro, in mezzo a una piantagione di banane illuminata dalla luna, ma anche un atrio grande e ombroso che odora di umidità e scarafaggi, come la brezza che porta un odore fetido e ripugnante, da vomito, il fetore della spiaggia di Chivo, dove terminano le fognature. Descrizioni di una natura che sono pennellate d’artista: Uno stormo di gabbiani, sentinelle delle correnti, garriva stonato, quasi a imitare grottescamente il pianto di un neonato. Stupendo l’incipit del capitolo XVI: La costa era un susseguirsi di sordidi casolari, capanne isolate dai tetti di palma anneriti e anguste correnti di acqua dolce che spalancavano le loro bocche nel mare. Capanne fatte di fronde e legno di palma. Capanne sudice, brutte, che si innalzano tra il verde come ramificazioni di un tumore maligno. Catapecchie. Catapecchie. Somigliavano a giganteschi paguri dalle conchiglie scure, abbandonate da un dio crudele in una distesa soleggiata. Ogni catapecchia era il seme vizzo e appassito di una futura città, con le sue dritte strade di pietra quasi tracciate come un righello, i suoi solidi edifici di cemento, i suoi comfort moderni, i suoi vizi, il suo ordine e la sua allegria. Nel frattempo però, finché non fosse arrivato il momento di crescere e moltiplicarsi, era nulla di più di un porcile immondo. Un letamaio che ospitava uomini, donne e bambini macilenti, denutriti, con la pelle di rena e l’animo di pietra. Stupendo. Pura letteratura. Potremmo andare avanti per molto, perché il libro è un contenitore esaltante di parti descrittive, mai ridondanti e inutili, ma fondamentali per contestualizzare la narrazione.
Enrique Serpa nasce nel 1900 e muore nel 1968, fa in tempo a conoscere la Rivoluzione Cubana, ma non si presta al ruolo di poeta cortigiano, preferisce occuparsi di altro che non sia politica, per questo viene messo da parte e dimenticato. Contrabbando è un romanzo del 1938, che vince il Premio Nazionale per il Romanzo, ma è scritto in maniera così moderna che non sembra invecchiato minimamente. Ottima la traduzione di Silvia Quadrelli che in un passaggio lascia l’espressione tutta cubana farsi il sangue acqua che non stona per niente nell’economia di un romanzo caraibico. Serpa ricorda le narrazioni di mare di Conrad, Stevenson, ma anche Il vecchio e il mare di Hemingway. Un romanzo insolito nella narrativa cubana, poco propensa ad ambientare romanzi nel mondo legato al mare, alla pesca e al contrabbando. Serpa è un autore di respiro internazionale, meritevole di un’operazione di riscoperta. Per approfondire la sua opera consiglio questa pagina web.
Gordiano Lupi