Ancora una volta, dopo i nubifragi della Liguria con il loro corollario di morti e di paesi distrutti, si è dato il via alla solita discussione sulle responsabilità di questi disastri, salvo poi non decidere nulla. È scontato che alla prossima calamità (ormai le calamità si susseguono con ritmo sempre più ravvicinato) la discussione riprenderà come ogni altra volta anche se poi, come ogni altra volta, tutto rimarrà come prima.
Purtroppo il degrado del nostro territorio costituisce da tempo una vera e propria emergenza, ma pare che non ce ne rendiamo conto. Si parla spesso, giustamente, di carenze nella scuola, nella sanità, nei trasporti, ecc., così come si sottolinea l'inefficienza della burocrazia e della pubblica amministrazione. Va da sé che questi sono settori fondamentali della nostra vita civile. È giusto rimarcarne i difetti e le disfunzioni. Tuttavia, con le cautele del caso, possiamo dire che in alcuni di questi campi l'Italia non è il fanalino di coda in Europa. La nostra sanità, ad esempio, non è assolutamente inferiore al livello medio della sanità dei paesi europei. Con i difetti che pure sappiamo, la nostra scuola non è ultima in una ipotetica classifica europea. Ci sono però due settori nei quali l'Italia occupa stabilmente l'ultimo posto tra i paesi civili: la giustizia e il territorio. Chi scrive ha già avuto modo di occuparsi più volte, proprio su queste pagine, dei due argomenti. Per quanto riguarda la giustizia sappiamo bene come (non) vanno le cose. Le cronache giudiziarie ci danno conto di tante, troppe disfunzioni, che diventano a volte negazione della giustizia, per non dire soprusi. Anche le dolorose vicende narrate dal nostro Gazetin costituiscono una piccola grande testimonianza al riguardo. Ma per questa volta lasciamo stare la giustizia e occupiamoci del territorio italiano che, è bene dirlo subito, appare sempre di più un autentico figlio di nessuno. Tranne che in un paio delle venti regioni che compongono il mosaico della nazione, non c'è traccia alcuna di pianificazione territoriale né tanto meno di provvedimenti a tutela del nostro straordinario ambiente. Edificazione incontrollata, discariche abusive, veleni, cementificazione delle rive dei fiumi e dei mari, montagne e colline devastate, selve di capannoni: ecco che cosa ci sta davanti. Insomma è così evidente che viviamo in una situazione disastrata che non c'è neppure bisogno di ricordare qualcosa di particolare: basta andare un po' in giro o magari soltanto guardare dalla finestra di casa. Chiediamoci: ma chi comanda sul territorio italiano? lo stato? le regioni? le province? le comunità montane? i comuni? Io sinceramente non saprei rispondere. So che le competenze dei diversi enti, così come le leggi, si sovrappongono e si confondono fino a elidersi a vicenda permettendo in tal modo, specialmente a chi ha mezzi, i più incredibili abusi. Di conseguenza ci troviamo sempre più spesso alla mercé di speculatori che edificano su terreni di pubblica proprietà, distruggono i centri storici, cementificano le rive dei fiumi e dei laghi, bloccano i corsi d'acqua, privatizzano le spiagge del mare, ecc. Ogni tanto la magistratura interviene, ma si tratta di interventi sporadici, tardivi, gravati dall'insopportabile lentezza della macchina giudiziaria (per abbattere l'ecomostro di Punta Perotti ci sono voluti trent'anni. E adesso pare che lo ricostruiscano... a spese della collettività!). Insomma c'è da rimanere allibiti. E ogni volta c'è qualcosa di peggio a cui assistere, il tutto aggravato, almeno per gente di confine come noi valtellinesi, dall'impietoso confronto col vicino territorio svizzero, al quale sovraintendono invece autorità competenti e dotate dei necessari poteri, sostenute oltretutto dal senso civico della cittadinanza. Basta passare il confine di Campocologno o quello di Castasegna per rendersi conto della differenza. Povera la nostra Italia! Insomma, se non ci sarà una decisa inversione di tendenza, il territorio italiano andrà incontro a un degrado sempre peggiore.
Mentre da una parte proseguono cementificazioni e devastazioni, dall'altra continua l'abbandono del territorio da parte di centinaia di migliaia (o milioni) di persone che fino a ieri su quei terreni operavano ogni giorno. Agricoltori, contadini, boscaioli, pastori, ecc., hanno lasciato e lasciano in continuazione mettendo fine alla loro preziosa opera, senza che nessuno arrivi a sostituirli. Nella mia valle, quando io ero ragazzo, centinaia di uomini e donne lavoravano ogni giorno nei campi, nei prati, nei boschi e, prima che provvedessero le amministrazioni, ci pensavano loro a mantenere il territorio nella sicurezza e nel decoro. Si falciavano i prati, si ripulivano i boschi e i torrenti, si sistemavano i sentieri, si costruivano e si consolidavano i muri di sostegno, ecc. E adesso? Quelle centinaia di persone hanno lasciato e non sono state sostituite da nessuno. Tutto questo non è avvenuto soltanto nella mia valle, ma ovunque. Non vi pare, amici lettori, che si debba tener conto di questa realtà? Non vi pare che si debba in qualche modo provvedere a tale situazione?
Purtroppo noi ci limitiamo alle chiacchiere. Come dice la vecchia canzone: parole, parole, parole, soltanto parole... Ma gli speculatori se ne fregano delle parole. Così come se ne fregano i nubifragi e le alluvioni. E allora, che fare? Ho sentito qualcuno parlare, dopo il recente disastro in Liguria, della necessità di un New Deal per il territorio italiano, un piano di interventi straordinari secondo il modello del “nuovo corso” americano degli anni Trenta, quanto Roosvelt decise di rispondere alla tremenda crisi economica con una serie di iniziative e di interventi atti a rimettere in moto l'economia americana. Proporre di affrontare in tal modo i problemi del nostro degradato territorio nazionale mi sembra già un buon passo avanti. Ma io non credo che basti un New Deal. Perché si tratterebbe in ogni caso di interventi straordinari quando invece abbiamo bisogno di occuparci del suolo con un'opera costante, definendo una volta per tutte le competenze e le responsabilità e provvedendo con finanziamenti adeguati e scelte amministrative efficaci. Dobbiamo assumere tecnici e operai che si occupino a tempo pieno della gestione del territorio. Dobbiamo retribuire adeguatamente chi svolge questi lavori.
Anche per quanto riguarda i piani regolatori è ora di voltare pagina. Mettiamo fine una volta per tutte alle speculazioni. Diamo sostegno all'edilizia conservativa e a quella di recupero. Lasciamo perdere i sogni faraonici (v. il ponte sullo Stretto) e diamo il via a opere pubbliche atte a salvaguardare il territorio e a mettere in sicurezza i centri abitati. Certo, sappiamo bene che non è facile fermare le forze della natura. Nubifragi, alluvioni e calamità di diverso tipo sono sempre in agguato. Ma limitare i danni, e limitarli di molto, non è impossibile.
Gino Songini
(per 'l Gazetin, novembre 2011)