Riprendiamo il discorso relativo alla poesia contemporanea con il poeta Andrea Margiotta; la prima parte dell’intervista è stata pubblicata su “Bottega letteraria”, n. 19 (ne ‘l Gazetin, gennaio 2005).
– Cosa pensa della poesia contemporanea? E dei poeti esordienti?
Amo i libri di Luzi soprattutto fino agli anni ‘70, mi piace il primo Giuseppe Conte e Davide Rondoni; poi anche Umberto Fiori e Claudio Damiani, Fernando Bandini e tanti altri… Ci sono tantissimi esordienti o giovanissimi di qualità ma non trovano troppi spazi o attenzioni, a parte le antologie generazionali…
– In Italia milioni di persone scrivono poesie, alcuni pubblicano anche raccolte. Basta navigare in internet per trovare centinaia di siti letterari, ma la poesia risulta poco letta. Cosa pensa di questo fenomeno? Come si può fare, secondo lei, ad invertire la tendenza?
Bisogna che la gente capisca che c’è un salto tra la dimensione diaristica o di sfogo e la composizione di testi che abbiano un certo valore di scrittura… Per scrivere non basta solo una carta e una penna, ma occorre un lavoro di ricerca espressiva che può durare anche tutta la vita… Umiltà, lavoro e soprattutto lettura. Non si può prescindere dal leggere i poeti contemporanei. C’è gente che pensa che ciò sia superfluo e per questo scrivono cose inqualificabili… Certo, se milioni di persone scrivono versi, vuol dire che questa è ancora una civiltà non completamente asservita alla tecnologia: è un buon segno, ma non deve andare a discapito di quella cinquantina di poeti italiani giovani realmente bravi…
Le faccio un esempio: quanti ragazzi, in Italia, giocano a calcio? Alcuni però riescono ad arrivare alla serie A, alla Nazionale e a diventare dei campioni. Come sono stati scelti? Questo è il punto: la poesia dovrebbe imitare lo sport con meccanismi di selettività in grado di portare certi nomi in serie A e in Nazionale. Il problema è che questi meccanismi non si mettono in moto per la latitanza di mass-media, critica, editoria… E tutto è un po’ lasciato al caso o alle varie conventicole di amici e amichetti: i criteri di selezione (brutta parola purtroppo però necessaria in arte…) sono sbagliati. Ma è un problema di una complessità enorme che dovrebbe essere affrontato dagli storici della cultura. Accade poi un fenomeno strano: si assiste a una domanda di poesia ascoltata, se si pensa al successo di tante rassegne in giro per l’Italia… Certo, la fruizione della poesia ascoltata è molto differente da quella letta privatamente ed è propria di una società consumistica dove l’opera d’arte diventa sempre più una performance (si pensi anche alle arti figurative). Ad ogni modo, questa “fame” di poesia ascoltata è sicuramente un segnale positivo di cui gli editori maggiori dovrebbero prendere atto.
Quanto alla “frase fatta” dei libri di poesia che non si vendono, be’, è un po’ un pregiudizio duro a morire. A parte il fatto che molti responsabili di grandi librerie dicono che i libri di poesia si vendono più di quel che si pensi… Poi c’è qualcosa che non mi torna se penso che solo in Italia perdura questo pregiudizio sulla poesia. (In Inghilterra, ad esempio, alcuni libri di poesia raggiungono cifre di vendita notevoli). In Italia ci si trincera e ci si difende accampando le solite scuse del mercato che non richiede poesia… Tutti sanno che il mercato è regolato dalle leggi della domanda e dell’offerta e il marketing insegna che per vendere un prodotto, ad esempio un nuovo tipo di pasta, basta convincere la gente che senza quel determinato prodotto, vivrebbe peggio. Quindi la famosa “domanda” del mercato va semplicemente suscitata, stimolata: tanto più perché io sono sicuro che sia più “necessario” leggere i libri di poesia piuttosto che consumare quel particolare tipo di pasta. Il problema è che in Italia non si è mai investito troppo nel settore culturale e artistico e questo a tutti i livelli, non solo in letteratura: penso al cinema, alle arti, ai monumenti. In Francia, per esempio, si investe molto, molto di più: e poi basta vedere come vengano valorizzate certe zone storiche di Parigi. Ha proprio ragione quel geniaccio di Vittorio Sgarbi, purtroppo ex sottosegretario ai Beni Culturali… Il vero nocciolo della questione è combattere contro una vera e propria mentalità “italiana”: un paese civile dovrebbe mettere la cultura tra le sue priorità, perché essa dà l’identità a un popolo ed è l’unica cosa che resta e si tramanda, quando tutto passa.
– Che considerazioni le suscita il sistema che gira “intorno” alla poesia che va dai Concorsi a pagamento, alle riviste che ti pubblicano solo se ti abboni, ai piccoli editori che propongono contratti “costosi” agli esordienti e non promuovono la pubblicazione?
Consiglio a tutti gli aspiranti poeti di non pubblicare mai con gli editori a pagamento; certo esistono anche piccoli editori di qualità che fanno pagare, perché non potrebbero ammortizzare le spese, ma sono pochi: l’eccezione che conferma la regola suddetta. Se proprio si voglia pubblicare a pagamento, si cerchino solo questi ed è molto facile: basta scorrere il catalogo, guardare la grafica, soffermarsi sui nomi che dirigono le collane e scelgono i libri… I premi letterari hanno perso molto del loro prestigio, pure i più noti: anche in questo settore, consiglio a tutti di partecipare solo a quelli che garantiscono serietà e qualità a partire dai membri della giuria e dalle “tasse di iscrizione” che in genere i premi buoni non applicano.
– Vuole aggiungere qualcosa?
Voglio aggiungere questo: io sogno un paese dove la libertà non sia solo la libertà del mercato, ma la libertà dell’essere umano. Oggi si parla del mercato come se fosse Dio o la fonte, la sorgente da cui scaturiscono tutti i valori, il discrimine tra il Bene e il Male… Il mercato è semplicemente qualcosa che deve essere a servizio di un bene più importante che è la libertà dell’uomo. La libertà dell’uomo è soprattutto responsabilità. Torniamo a guardare al Medioevo con gli occhi non accecati da un’ideologia giacobina e progressista che ha visto in quell’epoca la “summa” di tutte le nefandezze; torniamo a guardare al Medioevo, non per un nostalgico rimpianto: scopriremo novità sorprendenti e veramente rivoluzionarie rispetto al pattume-piattume della nostra epoca. Scopriremo qualche aspetto interessante anche a livello politico ed economico… (Il senatore Miglio, in una tra le sue ultime interviste, vedeva il lontano futuro politico come un ritorno simile al tempo dei comuni medioevali…). Scopriremo come, dal Medioevo in avanti, non ci sia stato un vero cammino verso la libertà ma una lotta per cadere in nuove e più sottili e subdole schiavitù che minacciano la nostra felicità. L’uomo contemporaneo non è più felice dell’uomo medioevale: è soltanto più sazio e disperato ed è più solo di fronte al mistero della morte.
Andrea Margiotta ha saputo fotografare in modo efficace la situazione attuale, le difficoltà che può incontrare chi opera in campo culturale, in un mondo che spesso va troppo di fretta per ascoltare la parola poetica. I consigli che ha saputo dare saranno certamente preziosi per quanti intendono intraprendere il difficile cammino della scrittura poetica. (2. fine)
Paola Mara De Maestri
(dalla “Bottega letteraria” n. 20 – 'l Gazetin, marzo 2005
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Blog del poeta, sceneggiatore e autore TV, Andrea Margiotta