Sarebbe stato perlomeno educato che il Presidente del Consiglio avesse indirizzato la “lettera di intenti” per la UE anche al popolo italiano, visto che questo si sobbarcherà tutti gli oneri delle riforme annunciate. Riforme che in alcuni casi ricalcano norme vigenti, magari imprimendovi termini di esecutività più che stringenti.
Ad esempio, entro maggio 2012 il Governo dovrebbe approvare una legislazione che regolerà i licenziamenti per motivi economici nei rapporti a tempo indeterminato. Ora, a parte che in Italia le leggi le approva ancora il Parlamento, colpisce proprio la scadenza di sei mesi. La ribattezzata “libertà di licenziamento” richiederebbe ben altri tempi, costituendo un nodo che solo il dialogo fra le parti sociali potrebbe sciogliere. La deroga all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è d'altronde prevista nella manovra di agosto e già l'accordo tra Sindacati e Confindustria del giugno scorso apriva ad una maggiore elasticità. Si può fare, insomma, ma non con queste intenzioni.
La lettera omette infatti il metodo della trattativa. Un errore di strategia, che riallontana le rappresentanze in conflitto di interesse, con i sindacati colpiti dalla mannaia del governo. Un errore nell'impostare la riforma, poiché in piena stagnazione indebolire le garanzie dei lavoratori senza offrire loro un ritorno in termini di welfare, può soffocarne la produttività e la flessibilità in un disperato trinceramento di posizione. La stessa BCE, sollecitandoci un mercato del lavoro più aperto, ha chiesto di rafforzare anche gli ammortizzatori sociali. Tecnicamente la UE chiama ciò “flessicurezza”, un vocabolo di cui gli italiani conoscono per ora solo il primo termine, cassa integrazione a parte, come dimostra il sempre più raro ricorso al tempo indeterminato nei nuovi avviamenti e lo snaturamento del precariato.
Con margini temporali più ampi e il presupposto del dialogo sociale, ci sarebbero potenzialità per una riforma equa, visto che, nella pratica, tutte le nostre città vivono comunque il dramma di imprese che chiudono con tanti saluti al tempo indeterminato. Bisogna però che il Governo faccia sia un passo indietro, coinvolgendo alla pari le rappresentanze sociali, sia uno in avanti, riguardo la contropartita sulla sicurezza. Si tratterebbe di misure a sostegno della famiglia e dell'individuo, in assenza delle quali si rischia una depressione sociale che vanificherebbe ogni speranza di crescita.
Marco Lombardi