Dietro una moneta ci può essere un sovrano e uno solo. Non c’è nessun precedente di un’unione monetaria sopravvissuta a lungo al di fuori del suo logico contesto di un’unione politica.
Un’unione monetaria come quella europea, con 17 sovrani e vari candidati a farne parte, funziona solo col bel tempo, in assenza di problemi economici gravi. Ma quando questi arrivano non sono mai simmetrici: ci sono sempre stati membri che vengono più colpiti di altri. A quel punto, o si abbandona chi rimane indietro al proprio destino – ed è la fine dell’unione - o lo si aiuta. L’aiuto si mette in moto solo se c’è un sentimento condiviso di appartenenza alla stessa entità politica, solo se si è fatto e pluribus unum.
Se adesso non arriva l’integrazione politica a tenere tutto assieme, anche quella economico-monetaria va a farsi benedire.
Che esistano soluzioni puramente tecnico-finanziarie a questa crisi è, infatti, un’illusione. Con l’emissione di eurobond su larga scala, ad esempio, l’UE diventerebbe un’entità con nessuna funzione di governo importante al di fuori della sfera economica, senza un Tesoro, con un bilancio minuscolo speso tutto in sussidi di dubbia utilità, gravata da un enorme debito pubblico tra il 60 e l’85% del PIL dell’eurozona, ma con una moneta rivale del dollaro su scala globale, una Banca Centrale, una Corte di Giustizia, un Parlamento a elezione diretta.
Sarebbe insomma la più grande tecno-struttura economica della storia, ma in quanto tale radicalmente incomprensibile al pubblico. Secondo noi è ora di rimettere il processo di integrazione europea sui piedi, invece che sulla testa come è ora, smettendo di consentire alla politica economica e finanziaria di guidare il processo politico.
I cittadini pagano le tasse per avere in cambio alcune basilari funzioni di governo: legge e ordine, giustizia, sicurezza; e poi sanità, educazione, sicurezza sociale, una moneta come mezzo neutrale di scambio. Tassare e spendere per offrire alcuni o tutti questi beni pubblici, consente a un governo di avere, anche se in seconda battuta, i mezzi per contrastare o prevenire le crisi con la stabilizzazione macroeconomica o la redistribuzione.
Non si può andare avanti all’infinito a fare le cose a rovescio, cioè a confinare l’Unione europea a una missione di pura stabilità finanziaria e macro-economica e a far seguire da qui tutto il resto. Succede invece che la stabilità finanziaria non c’è e in più non segue proprio niente.
Occorre, secondo noi, provare a guardare più avanti a un assetto in cui la politica economico-fiscale deriva dalle funzioni di governo tipiche di una forma statale, di un contratto sociale - e non le guida come è invece nell'Europa di oggi.
Alla fine, anche l’Unione europea dovrà pure funzionare nell’unico modo logico e comprovato dalla storia: tassare e spendere per fornire alcune funzioni di governo ai propri cittadini e su queste basi avere un Tesoro che accompagni l’azione della sua Banca Centrale.
George Soros ha fatto riferimento a “qualcosa come un ministero europeo delle finanze che abbia legittimità finanziaria e politica”. Ma in tanti cominciano a dire che bisognerebbe affiancare alla Banca Centrale Europea un ministero delle Finanze dell’Unione: recentemente lo hanno fatto Jean Claude Trichet e Jacques Attali, l’Economist e il Fondo Monetario Internazionale.
In altre parole l’unione monetaria va completata con un’unione politica. Perché un ministero delle Finanze presuppone tasse, che a loro volta servono a pagare funzioni di governo. Se gli Stati membri non trasferiscono all’Unione alcune funzioni di governo non si danno né Tesoro né Finanze europei.
Insomma non si scappa: bisogna fare gli Stati Uniti d’Europa. Questa idea, che non è affatto nuova, si scontra regolarmente con il timore – particolarmente forte in Gran Bretagna e nei paesi nordici - di creare un cosiddetto superstato europeo che soffochi gli stati nazionali.
Ma la Federazione europea che sarebbe realisticamente giusto fare oggi, lungi dall’essere un superstato sarebbe al contrario una “Federazione leggera”* che assorbe e spende attorno al 5% del PIL europeo. La spesa pubblica degli stati nazionali europei maggiori si aggira attorno alla metà dei rispettivi PIL.
Queste risorse sarebbero sostitutive e non aggiuntive rispetto alla spesa pubblica nazionale perché accompagnerebbero il trasferimento al centro federale di funzioni di governo oggi svolte dagli Stati membri. Quali?
A nostro avviso dovrebbero essere la difesa, la diplomazia (compresi gli aiuti allo sviluppo e quelli umanitari), il controllo delle frontiere e dell’immigrazione, la creazione delle grandi reti infrastrutturali europee, alcuni programmi di ricerca scientifica di grande respiro e gli aiuti alle regioni più povere e in ritardo di sviluppo.
Con un bilancio di 600-700 miliardi di euro l’Unione potrebbe svolgere, quando ce n’è bisogno, funzioni di stabilizzazione macro-economica e redistribuzione via ordinaria manovra fiscale, tassando di più gli stati in espansione e meno quelli in recessione. Silenziosamente, senza creare la pubblicità e le enormi aspettative che circondano i vertici dell’eurozona sugli aiuti ai paesi in difficoltà. E abbiamo visto che la sproporzione tra aspettative e risultati regolarmente peggiora la situazione.
L’altro ostacolo all’unione politica dell’Europa è la riluttanza, che hanno tutti gli Stati membri, chi più chi meno, a perdere sovranità proprie a favore di un centro federale.
Ma la perdita di sovranità c’è già ed è palese. Quando, il 5 agosto scorso, il governo italiano ha finalmente ceduto alle pressioni della BCE e del resto dell’eurozona annunciando l’anticipo del pareggio di bilancio, Mario Monti ha adombrato il concetto di commissariamento del nostro esecutivo da parte di “un governo tecnico sopranazionale … con sedi sparse tra Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra e New York”.
Ma per lo stesso commissariamento sono già passati greci, portoghesi, irlandesi e spagnoli. E anche la sovranità tedesca è di fatto limitata dalle responsabilità che la Germania ha verso il resto dell’eurozona.
Se dobbiamo fare i conti con “un governo tecnico con sedi sparse”, non è meglio allora passare a un governo politico a livello federale, a Bruxelles, con un mandato e dei poteri definiti e circoscritti per legge? Un governo cui tutti hanno ceduto un pezzo della propria sovranità su un piede di parità, che può tassare e spendere cifre non enormi – una “Federazione leggera” – ma significative.
Sono ormai sessant’anni che l’Europa elude la soluzione del suo problema politico. A noi sembra arrivato il momento di sciogliere questo nodo.
Emma Bonino e Marco De Andreis
(da tamtàm democratico, n. 2/2011: “L'Europa al bivio”)
* “Federation Light: a Martian’s view of the European Union", di Marco De Andreis.