Davide Bregola
La cultura enciclopedica dell’autodidatta
Sironi, 2006, pagg. 240, € 14,50
Davide Bregola è uno che sa scrivere, ci mancherebbe. Lo dico a scanso di equivoci perché la lettura del suo primo romanzo mi ha messo in crisi, facendomi passare dall’entusiasmo acritico delle prime pagine a un nervosismo palpabile mano a mano che proseguivo. Mi andrò a cercare Racconti felici, seguiti da La lenta sinfonia del male, (sempre Sironi), perché sono convinto che l’autore si trovi più a suo agio confrontandosi con la narrativa breve. Il sottotitolo in copertina de La cultura enciclopedica dell’autodidatta avvisa il lettore che ha tra le mani un romanzo, pure se del romanzo la storia raccontata da Bregola ha niente o quasi. L’autore si nasconde (nemmeno tanto bene) dietro l’alter ego di Giovanni Costa, scrittore frustrato che ha pubblicato una raccolta di racconti e non ce la fa a integrarsi nella vita quotidiana. Ci racconta un po’ di fatti suoi, parla di politica a ruota libera, avvenimenti sportivi, disperate ricerche di lavoro in un mondo fatto di precariato, letteratura a bizzeffe, scrittori preferiti, sogni, speranze, problemi familiari e chi più ne ha più ne metta. Ce ne venivano almeno dodici di romanzi veri con tutta la carne che Bregola mette al fuoco in questo calderone di materia informe. L’autore dice che ha impiegato tre anni per scrivere questo libro e ci tiene a ribadire che non è un romanzo autobiografico, ma visto che può essere interpretato come tale ne ha approfittato per tentare un espediente narrativo. Nessuno dice che Giovanni Costa sia in tutto e per tutto Davide Bregola, ma è un dato di fatto che tra i due esistono parecchi elementi in comune. Il risultato dello sforzo letterario di Bregola è una sorta di Zibaldone dove l’autore cita a più riprese Pratolini, Palazzeschi, Balzac, Moravia, Coccioli (un grande autore dimenticato), Brizzi, Raimo, Céline, Veronesi, Scarpa (e il suo terribile Kamikaze d’Occidente che a Bregola è piaciuto così tanto da trascriverne un pezzo!), Mozzi, Balestra, Kerouac. Corso, Ferlinghetti, De Carlo, Popper, Ottonieri… in un calderone letterario che accomuna grandissimi scrittori a mezze figure dimenticabili. Quello che più mi inquieta di questo libro è il fatto che gli amici di Bregola hanno tutti un posto d’onore, i recensori “importanti” sono gratificati al punto giusto (D’Orrico è un protagonista immancabile) e le citazioni dei contemporanei sono pescate nel mare di quella “letteratura del niente” a me così poco cara. Troppo facile, caro Bregola, mi ricordi un mio amico che per vendere libri a Piombino scrive racconti dove cita nomi e cognomi di persone viventi, così dopo tutti gli comprano il libro. Non è la stessa cosa, ma in proporzione mi pare che il gioco sia abbastanza scoperto.
Tornando alla trama, abbiamo il nostro scrittore che cerca lavoro e allora non può mancare la citazione completa del suo curriculum vitae (sic!), ma ci sono pure interminabili (e inutili) liste di libri e di autori preferiti, come vengono annotati con meticolosa precisione i futuri dirigenti del paese. Un editing accurato e inclemente avrebbe sfoltito questo libro di almeno cento pagine e forse la lettura ne avrebbe guadagnato. Il nostro scrittore cerca pure la verità e allora Bregola ci ammannisce una serie di appunti sulla verità vergati in capitoletti autonomi davvero irritanti. Alla fine il nostro scrittore decide che per trovare la verità deve vivere e che per scrivere deve fare un lavoro normale, altrimenti di cosa scriverebbe uno scrittore che passa tutta la giornata chiuso in casa a scrivere? La conclusione è condivisibile ed è la stessa alla quale giungo nel mio Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura (Stampa Alternativa, 2003), partendo però da presupposti diversi e dando consigli di lettura diametralmente opposti.
L’autore ci regala pagine di vera letteratura quando il protagonista racconta la vita del padre e solo quei pochi brani meritano la lettura del romanzo. Per questo dico che il racconto è la misura perfetta di Bregola e che siamo di fronte a un autore promettente, nonostante questo inutile romanzo che può trovare lettori solo tra aspiranti scrittori, colleghi narratori del niente e addetti ai lavori. Narrativa ombelicale allo stato puro, come da tradizione italiana che si rispetti, purtroppo incentivata dalla critica che conta. Un lettore comune non va oltre il secondo capitolo e se non butta nel secchio il romanzo dopo le prime due liste di nomi e di libri, lo fa di sicuro quando arriva il curriculum vitae di Giovanni Costa. Peccato, perché Davide Bregola è uno scrittore di talento, ma in un’opera come questa lo spreca a piene mani.
Gordiano Lupi